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sabato 5 settembre 2015

In Siria, una popolazione disperata è prossima alla follia

swissinfo.ch
Mentre l’Europa è confrontata con un’ondata di rifugiati, un nuovo rapporto della Commissione d’inchiesta sulla Siria evidenzia il calvario senza fine dei civili, in particolare delle donne e dei bambini. Anche la loro salute mentale è sempre più a rischio, indica a swissinfo.ch un esperto del Comitato internazionale della Croce Rossa.
L’immagine di Aylan Al-Kurdi, il bambino trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia - dopo il naufragio della sua imbarcazione con cui tentava la fuga - è circolata sui media sociali e si è conquistata, purtroppo, le prime pagine dei giornali. Una tragedia umana che sembra quasi fare da preludio alla presentazione a Ginevra del nuovo rapporto della Commissione d’inchiesta internazionale indipendente sulla Siria, organismo creato dal Consiglio dei diritti umani.

«La vita dei bambini siriani è stata distrutta dalla brutalità della guerra. Un numero incalcolabile ha subito le stesse violenze degli adulti, senza distinzione. Le parti in conflitto continuano ad arruolare e inviare bambini al fronte. […] A causa della ripetuta esposizione alla violenza e all’insicurezza, i bambini nell’intera Repubblica araba di Siria presentano sintomi da trauma, disturbi mentali e comportamentali, così come patologie post-traumatiche da stress. La lunga durata del conflitto [quattro anni e mezzo, ndr] riduce la loro capacità di resistenza», illustrano nel rapporto (in inglese, traduzione di swissinfo.ch) gli inquirenti, tra cui anche la svizzera Carla Del Ponte, dopo le indagini svoltesi tra il 10 gennaio e il 10 luglio 2015.

I belligeranti hanno perso il controllo della guerra
Specializzato in salute mentale, Senop Tschakarjan del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) corrobora il triste bilancio del rapporto: «Ogni nuovo attacco e ogni nuova atrocità aumentano il numero di persone traumatizzate, in particolare i bambini. Una buona parte dei civili sembra riesca a resistere. Tuttavia, con il passare del tempo, il rischio di soccombere aumenta».

Sulla durata della guerra, il rapporto dell’ONU è pessimista. «Nessuna delle parti in conflitto sembra essere vicina alla sconfitta, così come nessun belligerante pare possa avere la meglio in questa guerra civile. Dopo oltre quattro anni di combattimenti, tutti hanno ottenuto fondi, vincite territoriali e capacità operazionali sufficienti per permettere loro di continuare per più anni.

La concorrenza tra le potenze regionali [nel conflitto, ndr] ha prodotto innumerevoli conseguenze, tra cui un’esacerbazione allarmante della dimensione settaria, favorita dall’intervento dei soldati stranieri e degli estremisti religiosi.

Le parti in conflitto hanno progressivamente perso il controllo sul corso degli avvenimenti poiché una serie di fattori esterni ne ha offuscato la dimensione interna».
Ospedali presi di mira
La distruzione del sistema sanitario è una di queste conseguenze. «I continui bombardamenti aerei siriani su obiettivi casuali hanno distrutto gli ospedali, anche quelli di campagna, le cliniche, l’equipaggiamento medico, i depositi di medicinali e hanno causato la chiusura temporanea o definitiva di istituti sanitari».

Tutte le parti in conflitto sono responsabili di questa situazione, indicano gli inquirenti dell’ONU: «Con i loro attacchi, i contendenti hanno colpito anche il personale medico, sovente nell’ambito di offensive più ampie contro le installazioni e le infrastrutture sanitarie».

I combattenti dello Stato islamico (IS) aggravano ulteriormente la situazione nelle zone sotto il loro controllo: «Le regole dell'IS, che impongono la separazione dei sessi, hanno un impatto negativo sulle donne poiché riducono la loro capacità di accedere alle cure sanitarie. Nel 2013, molti medici sono fuggiti dalle zone controllate dall'IS. Inoltre, il numero di donne medico nella regione è molto esiguo. Per questo motivo scarseggiano anche le ginecologhe».
Dopo la fuga, il calvario continua
Non resta che la fuga per scappare da questo inferno. «Con oltre quattro milioni di rifugiati e circa 7,6 milioni di sfollati, la metà della popolazione siriana è ormai sradicata», indica il rapporto.

Anche se un numero crescente di siriani tenta di raggiungere l’Europa, la maggior parte sopravvive nei campi profughi in Siria o nei paesi limitrofi. Quanto scrive il rapporto su questi insediamenti è agghiacciante: «I campi sono dei posti in cui regna l’insicurezza. Il bisogno di protezione dei membri femminili delle famiglie e i costi per l'assistenza delle grandi famiglie hanno causato un aumento dei matrimoni in giovanissima età nei campi. Ciò ha conseguenze [negative, ndr] per l’educazione, la salute e la vita delle giovani donne della Siria.

I figli denotano degli evidenti sintomi da trauma. L’esposizione ripetuta alla violenza, alle perdite di familiari, i continui spostamenti e l’instabilità hanno un impatto particolarmente grave sulla vita dei bambini siriani».

Ma, come rivela il medico Senop Tschakarjan, la sicurezza è una condizione prioritaria per non aggravare ulteriormente la salute mentale delle vittime di questa guerra che ha fatto più di 230mila morti, stando all’Osservatorio siriano dei diritti umani: «Per salvaguardare la salute mentale sarebbe meglio restare nella regione dove la mentalità, la cultura sono simili. La fuga verso l’Europa aggiunge altre drammatiche esperienze alla vita delle vittime, a cui potrebbe sommarsi la richiesta d'asilo negata. Ma la possibilità di vivere in un posto sicuro è comunque lo strumento migliore per fermare la spirale di violenza e di traumi».

Come ricorda il rapporto: «Migliaia di siriani affidano il loro destino nelle mani dei passatori e dei trafficanti per affrontare dei pericolosi viaggi in imbarcazioni di fortuna attraverso il Mediterraneo». Dal 2011, oltre 2000 rifugiati siriani sono annegati nel disperato tentativo di trovare la sicurezza in Europa.
L’Europa non può sfuggire alle sue responsabilità
In questo momento, il fallimento totale per quanto riguarda la protezione dei rifugiati siriani si traduce in una crisi umanitaria senza precedenti nell’Europa del Sud. È fondamentale che i Paesi rispettino il principio di non respingimento e che ottemperino ai loro obblighi secondo il diritto internazionale consuetudinario e convenzionale». Un appello che comincia a essere ascoltato, ma che continua a dividere gli Stati membri dell’Unione europea.

Fonte: ATS

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