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martedì 24 settembre 2019

Iraq - Negata, per motivi "burocratici" la scuola ai figli dei miliziani dell'Isis. Rischio di nuove ondate di radicalizzazione

Corriere della Sera
La denuncia delle ong: espulsi dalle scuole con il pretesto dei documenti mancanti. Il pericolo di nuove ondate di radicalizzazione e dell’aumento del tasso di analfabetismo.



«Tutti gli altri bambini possono studiare. Perché ai miei non è permesso?». Secondo quanto riporta la tv curda Rudaw, Umm Khattab è disperata. Suo marito si è unito all’Isis e poi scomparso. Ora lei è sfollata nel campo di Hamam al Alil, trenta chilometri a sud di Mosul. E non solo non può tornare a casa a causa del disprezzo degli abitanti del suo villaggio e dell’ostracismo della sua tribù. Ma Umm Khattab ogni giorno i suoi figli respinti da scuola.


Ufficialmente il motivo dell’esclusione è di tipo burocratico. I bambini IDP, sfollati, possono frequentare le lezioni nelle scuole gestite da organizzazioni umanitarie, ma non sono ammessi nelle scuole irachene a meno che non abbiano documenti in regola. Molti minori però sono sprovvisti di regolari carte di identità. Durante l’occupazione i miliziani dell’Isis hanno sequestrato ai civili i documenti e hanno impedito alle donne i cui mariti non fossero fedeli alla loro causa di registrare i figli alla nascita. Inoltre nella fuga e nella devastazione registri e anagrafi sono andate distrutte. 


Con il risultato che, secondo l’ong Norwegian Refugee Council (NRC), sono almeno 80 mila le famiglie della piana di Ninive costrette a tenere i figli a casa, nonostante le lezioni siano iniziate già da una settimana.

In realtà un documento del settembre scorso firmato da alti funzionari del Ministero dell’Istruzione di Bagdad accordava il permesso ai bambini privi di documenti di frequentare le lezioni. Tuttavia, secondo l’ong Human Rights Watch, molti presidi agendo in autonomia hanno espulso gli studenti privi di documenti dopo aver concesso solo 30 giorni di tempo per mettersi in regola. Inoltre in alcune scuole sono stati richiesti certificati anche ai genitori, complicando le cose soprattutto a quelle madri rimaste sole dopo l’uccisione dei mariti in battaglia. Così, anche nel caso in cui i bambini abbiano documenti in regola perché nati prima dell’occupazione dell’Isis nel 2014, molti studenti vengono esclusi dall’istruzione solo perché il padre non è più presente o perché la madre non dispone di un certificato di morte del marito o di divorzio.

Secondo Human Rights Watch più che a cavilli burocratici, la negazione del loro diritto allo studio è da imputarsi a motivazioni politiche e a vendette tribali. E va in assoluta controtendenza con i proclami di riconciliazione fatti dai politici all’indomani della sconfitta dello Stato islamico. A molte donne e madri i documenti sono stati negati apertamente perché i loro mariti erano affiliati dell’Isis. Tuttavia — come fa notare Lama Fakih , direttore del Medio Oriente di Human Rights Watch — «negare ai bambini il diritto all’istruzione a causa di qualcosa che i loro genitori potrebbero aver fatto è una forma di punizione collettiva fuorviante». E mette a repentaglio il futuro dell’Iraq minando «l’opera di prevenzione e contrasto dell’ideologia estremista spingendo questi bambini ai margini della società».

L’articolo 18 della Costituzione irachena prevede che a tutti i bambini nati da padre o madre iracheni sia concessa la cittadinanza. Sempre la costituzione garantisce poi a tutti i minori il diritto all’istruzione, senza discriminazioni. E se un governo deve adottare misure per garantire che l’istruzione non venga interrotta durante le crisi umanitarie, tanto più se si considera che il tasso di analfabetismo in Iraq è tra i più alti del mondo con il 47%, non si capisce allora perché i funzionari iracheni stiano attuando una politica del genere. Tanto più se si considera che l’Iraq ha ricevuto aiuti dalla comunità internazionale che ammontano a 250 milioni di dollari solo dagli Stati Uniti. «Alcuni bambini iracheni hanno perso tre anni di istruzione sotto l’ISIS» — ha aggiunto Fakih — «Il governo dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per garantire che i bambini non perdano più anni di istruzione cruciale».

A maggior ragione se si vuole evitare una nuova ondata di radicalizzazione religiosa e che un’altra generazione di ragazzi finisca nelle mani delle milizie jihadiste.


Marta Serafini

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