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giovedì 29 settembre 2016

Commissione Ue chiude alla “solidarietà flessibile”: le relocation sono un obbligo legale

EU News
L’esecutivo comunitario respinge la proposta dei Paesi che si oppongono alle quote e che vogliono contribuire in altro modo all’accoglienza. Ad un anno da inizio programma trasferito solo il 3,5% dei rifugiati da Italia e Grecia
La "stretta di mano" tra Orban e Junker
Bruxelles – Di “solidarietà flessibile” si può anche parlare per il futuro, ma adesso bisogna rispettare gli impegni presi ed accettare i ricollocamenti di migranti da Italia e Grecia. 

La Commissione europea chiude la porta alla proposta arrivata dal gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che, allergico all’idea di accogliere rifugiati, ha chiesto di potere contribuire in altro modo agli sforzi comuni per gestire la situazione migratoria, ad esempio con uomini per garantire la sicurezza dei confini o equipaggiamenti. 

“Anche se esistono diverse forme di solidarietà, gli Stati membri hanno la responsabilità di mettere in atto le decisioni già prese”, ha chiarito il commissario Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ricordando che “la solidarietà non è solo una responsabilità morale ma anche legale” visto che in materia è stata presa una “decisione vincolante del Consiglio”.

Insomma la Commissione prova a crederci ancora, nonostante le parole, che a molti erano parse di rinuncia, pronunciate dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, davanti al Parlamento europeo in occasione del suo discorso della Stato dell’Unione: “La solidarietà è un gesto spontaneo che viene dal cuore e non si può forzare”, aveva detto Juncker, lasciando sospettare che la Commissione volesse alzare bandiera bianca. Ma nelle ultime ore l’esecutivo comunitario è tornato a riaffermare la volontà di spingere gli Stati a rispettare l’impegno preso a settembre 2015, quando ci si impegnò a trasferire da Italia e Grecia 160mila rifugiati in due anni: “Dobbiamo riunire l’Europa dell’est e dell’ovest su questo tema”, ha affermato Juncker nel corso di un’intervista a France 24, dicendosi speranzoso che anche i più strenui oppositori possano infine convincersi della bontà del sistema di redistribuzione: “Sappiamo dalla vita privata che è insolito essere colpiti dall’amore. Perché l’amore nasca, dobbiamo lasciare il tempo necessario”.

Certo a guardare le cifre, pare che l’amore nei confronti delle quote di redistribuzione di migranti non sia sbocciato. Ad un anno dalla partenza del programma, quando i trasferimenti dovrebbero attestarsi a quota 80mila o poco meno, sono stati ricollocati da Italia e Grecia in totale appena 5.651 migranti cioè il 3,5% del totale, una cifra irrisoria. Chiara poi l’opposizione di alcuni Stati che in un anno non hanno accolto ancora nemmeno un migrante: è il caso di Austria, Danimarca, Ungheria, e Polonia. La Slovacchia ha accettato solo 3 rifugiati, la Repubblica Ceca 12. Insomma, c’è poco da stare allegri, ma la Commissione è convinta che le cose stiano cambiando. “Gli accresciuti sforzi degli Stati membri negli ultimi mesi sulle relocation, con più di 1.200 relocation solo in settembre dimostrano che i ricollocamenti possono essere velocizzati se c’è volontà politica e senso di responsabilità”. A rincuorare l’esecutivo Ue anche gli impegni già presi a lungo termine da alcuni Stati membri che si sono impegnati ad accogliere una quota fissa di rifugiati per i mesi a venire: lo hanno fatto ad esempio la Germania, che accoglierà 500 migranti al mese e il Belgio che ne accoglierà 100 al mese per i mesi a venire.

Sarà molto più dura con l’Ungheria, che questa domenica terrà un referendum per lasciare decidere ai cittadini se accettare le quote di migranti imposte dall’Ue. L’esito è abbastanza scontato ma qualunque verdetto uscirà dalle urne, la Commissione chiarisce che non potrà in alcun modo interferire con decisioni già prese: “La nostra posizione sul tenere un referendum su una decisione del Consiglio esistente e legalmente vincolante è chiara”, ha sottolineato Avramopoulos, che Bruxelles vede la consultazione come “relativa a decisioni future che devono ancora essere prese”.

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Letizia Pascale

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