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venerdì 29 aprile 2016

Siria - Il sacrificio di Mohammed l’ultimo pediatra rimasto ad Aleppo

Corriere della Sera
Morto per curare i bambini - Doveva sposarsi, una bomba ha colpito il suo reparto nell’ospedale Al Quds di Aleppo gestito da Medici senza frontiere: decine le vittime, molti i bambini.

Mohammed Wasim Moaz, 36 anni
Se non fosse vero e verificabile, verrebbe da pensare che sia il personaggio romanzato di un film. Una sorta di eroe tutto positivo che si sacrifica per il prossimo, dona interamente se stesso, sino a perdere la vita. In effetti la morte del dottor Mohammed Wasim Moaz, 36 anni, fidanzato che sperava di sposarsi nei prossimi mesi, racconta di eroismo e altruismo come difficilmente possono comprendere coloro che non hanno vissuto la guerra o una grande tragedia collettiva. 

«Era l’ultimo pediatra residente nei quartieri di Aleppo ancora controllati dalle brigate che si ribellano alla dittatura di Bashar Assad», dicono dalla città assediata. Al quartier generale di Medici Senza Frontiere a Gaziantep, in Turchia, ne ricordano la professionalità, la dedizione, il rifiuto di partire per non abbandonare le decine di migliaia di bambini che aveva in cura. 

«Cosa farebbero senza di me tutti questi bambini? Chi si occuperebbe di loro?», rispondeva via email e WhatsApp a tutti coloro che da inizio gennaio, quando i bombardamenti dei caccia russi e i famigerati «barili bomba» lanciati indiscriminatamente dagli elicotteri del regime di Damasco hanno intensificato lo scempio dei quartieri civili, lo invitavano a mettersi in salvo.
Ma è parlando soprattutto con i suoi colleghi siriani che si coglie la forza di questo medico e il significato del suo sacrificio tra le macerie del suo ospedale, ucciso mercoledì notte dall’ennesima bomba vigliacca contro le strutture sanitarie nazionali tra le migliaia, che sin dall’inizio della guerra civile repressa nel sangue, hanno imbarbarito il conflitto. 

«Mohammed è caduto da eroe. Non è propaganda. Non è retorica. Affatto. Il mio amico Mohammed è morto per aiutare gli altri. Noi gli avevamo detto che era giunto il momento di partire. Da sempre la soldataglia di Assad e gli agenti al suo servizio attaccano medici, infermieri, farmacisti. Tanti medici hanno lasciato Aleppo. Qualcuno opera ancora in cliniche e ricoveri di fortuna nei villaggi, nelle campagne del nord, stretti tra le zone curde, Isis e l’avanzata dei filo-regime. La maggioranza è emigrata in Turchia, o addirittura in Europa. Ne sono rimasti una cinquantina ancora attivi in otto ospedali nelle zone libere a occuparsi dei circa 300.000 civili. Tra loro almeno 150.000 tra infanti, bambini e ragazzi giovani. A loro pensava lui. Soprattutto a loro. Per questo motivo rifiutava persino di trattare il tema della sua eventuale partenza. Era fuori discussione», dice per telefono Ahmed Leila, il medico legato al fronte delle milizie ribelli che dalla Turchia si occupa di coordinare gli aiuti sanitari con Nazioni Unite, Croce Rossa e organizzazioni umanitarie internazionali.

Sono amici da tanti anni Ahmed e Mohammed, sin da quando studiavano medicina all’università di Aleppo. «Me lo ricordo agli esami. Un ottimo studente. La sua famiglia è molto nota nella nostra città. Sono tre fratelli, tutti e tre medici affermati e tutti ancora attivi sotto le bombe. Bakri, 39 anni è chirurgo. Hussam, 35 anni, è oculista e dirige uno degli ospedali ancora funzionanti. Mohammed però sapeva bene di essere l’unico pediatra rimasto. Per lui era come una missione. Anche per questo aveva scelto di rinviare il matrimonio. Gli altri due fratelli hanno mandato mogli e figli in Turchia. Lui scherzava, da single diceva che poteva rischiare di più. Ma adesso con la nuova fidanzata prendeva maggiori precauzioni. O almeno provava. Vivere ad Aleppo è una continua sfida con il destino. Eravamo in contatto quotidiano. Negli ultimi scambi due giorni fa abbiamo parlato via web sulle questioni dell’amministrazione sanitaria locale, si devono eleggere i nostri rappresentanti alla municipalità della zona libera».

Tra i temi discussi anche quelli delle necessità sanitarie e le riserve di medicinali. I rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ultimamente si erano attivati per far confluire aiuti approfittando della tregua limitata iniziata a fine gennaio. E pare che gli ospedali di Aleppo avessero ricevuto importanti quantitativi di medicinali. «Da questo punto di vista lui era abbastanza soddisfatto. Gli ospedali si erano organizzati a riempire i magazzini nella prospettiva della ripresa dei combattimenti e il peggioramento dell’assedio, come in effetti ora sta avvenendo», aggiunge il dottor Ahmad. Ma il problema grave resta il degenerare complessivo della situazione a causa della guerra. «Mohammed non credeva che la tregua avrebbe tenuto. E continuava a dirmi che in particolare i bambini piccoli soffrono per la mancanza di pulizia, le carenze d’acqua potabile, i cibi avariati. Chiedeva disinfettanti, agenti filtranti. È morto temendo che la situazione potesse peggiorare».

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