La denuncia dell’associazione LasciateCIEentrare: «Provengono dalla Nigeria, sono state violentate e torturate, dovrebbero essere messe sotto protezione»

Se qualcuno avesse chiesto notizie sul viaggio e su di loro, come d’altra parte prevede la procedura, avrebbe scoperto uno dei mille traffici nascosti dietro gli sbarchi, quello delle donne destinate al mercato del sesso in strada. Lo ha fatto una delegazione della campagna LasciateCIEntrare, giunta ieri per la seconda volta nel centro per parlare con le ragazze. Gabriella Guido, portavoce dell’associazione: «Ci hanno raccontato storie che non lasciano dubbi, ci hanno mostrato i segni delle torture sui loro corpi».
Le ragazze hanno spiegato di essere partite dalla Nigeria dopo aver perso i genitori ed essere finite nelle mani di bande criminali. Dietro la promessa di prendersi cura di loro ormai da sole, gli uomini di questi gruppi le hanno violentate, torturate e poi spedite lungo le rotte della disperazione con un biglietto dove era scritto un nome e un riferimento di un contatto italiano. Le nigeriane sono arrivate in Libia, hanno trascorso mesi nelle terribili prigioni di Tripoli. Altre sevizie, altre torture. Tutte ben visibili sui loro corpi. In tre all’arrivo in Italia erano anche ben oltre il quarto mese di gravidanza dopo gli stupri subiti.
Ce n’è a sufficienza per inoltrare una domanda di asilo. Le associazioni «A buon diritto» e «Be Free» sono riuscite a sospendere il rimpatrio e a informare le giovani dei loro diritti. Anche perché tornare in patria significherebbe soltanto gettarle di nuovo in pasto ai trafficanti e alle torture.
Le prime commissioni per la richiesta di asilo si riuniranno a partire dalla settimana prossima. La vita delle ragazze dipende dalla loro decisione. Gabriella Guido: «L’amarezza più grande è che non è questo che ci si aspetta dall’Italia e dall’Europa. Sarebbe stato un obbligo morale rendersi conto della storia di queste ragazze e metterle sotto protezione invece di rinchiuderle in una struttura che alla fine è solo un’altra prigione».
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