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mercoledì 14 gennaio 2015

Iran, ventuno impiccagioni in una settimana

La Stampa
Il 2015 inizia con un record inquietante, e le ong denunciano: con la presidenza di Rohani le esecuzioni non sono diminuite, in compenso si è ridotta la vigilanza internazionale
Milleduecento persone condannate a morte dal giugno 2013, molte giustiziate sulle pubbliche piazze, con la drammatica scenografia denunciata in centinaia di scatti segreti: gru usate come forche per impiccagioni “esemplarmente” spettacolari. Da quando è stato proclamato presidente della Repubblica islamica iraniana Hassan Rouhani, presentato al mondo come moderato, è marcato stretto dalle associazioni per i diritti umani che non perdono occasione per sottolineare come alle aperture del paese in campo diplomatico e in politica estera non corrisponda altrettanta larghezza di vedute negli affari interni e come in Iran i boia lavorino come e anzi più di prima. Complice forse la minor vigilanza internazionale verso un paese diventato strategico nella lotta all’estremismo sunnita dell’Is.

E in questo senso il 2015 è iniziato con un record: 21 impiccati nei primi sei giorni dell’anno, da Capodanno all’Epifania insomma, secondo il nostro calendario. Lo denuncia Nessuno tocchi Caino in base ai dati diffusi da Iran Human Rights. Il primo ad aprire ufficialmente l’anno è stato A.Azizi, 38 anni, giustiziato nella famigerata prigione di Qazvin, notizia diffusa dall’agenzia di stampa Fars e motivata da un’accusa di spaccio di eroina. Colpevoli di reati legati alla droga anche le quattro donne impiccate lo stesso giorno nel carcere di Bam, i sette prigionieri giustiziati nel cortile della prigione di Shahab a Kerman. Erano accusati invece di omicidio i due detenuti giustiziati nella prigione centrale di Bandar Abbas, mentre un terzo è stato salvato dal perdono concesso dalla famiglia della vittima, secondo la peculiare tradizione iraniana che permette alla parte offesa o a chi la rappresenta di decidere della sorte del reo.



Per quanto la tossicodipendenza sia un problema tanto grave quanto tenuto sotto traccia della repubblica islamica, molti attivisti sottolineano da tempo che il contrabbando di droga è spesso una giustificazione per reprimere sanguinosamente anche reati di natura politica. Risale alla metà dello scorso dicembre un appello congiunto di sei associazioni per i diritti umani all’Unodc (United Nations Office on Drugs and Crimes) che chiede il congelamenti dei fondi delle Nazioni Unite destinati all’Iran per la lotta alla tossicodipendenze perché servono ad alimentare il numero delle esecuzioni capitali per traffico di droga. Che, negli ultimi dieci anni, secondo uno studio, sarebbero aumentate di pari passo con l’elargizione dei fondi internazionali: 27 solo nei primi dieci giorni dello scorso dicembre, di cui 18 nel giro di una sola giornata.

Il mesto elenco dei giustiziati a vario titolo prosegue con Mehdi V., Ehsan K. e Mahmoud V., impiccati il 4 gennaio nella città di Torqabeh rei di aver violentato una giovane donna. Il terzo prima è stato frustato pubblicamente per cento volte.

Il 6 gennaio, infine, quattro uomini sono stati giustiziati nel carcere di Orumieh. Uno di essi, identificato come Saber Mokhalad Mowaneh, è stato condannato a 5 anni di carcere per appartenenza a un partito politico curdo e a morte per un omicidio commesso nel 2009, altri due, Sattar Alipour e Ali Eghbaljou, entrambi accusati di omicidio mentre un altro prigioniero è stato impiccato per omicidio nella prigione di Qazvin. E l’elenco è destinato a proseguire. Secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite negli ultimi 15 mesi sono state eseguite in Iran 852 condanne a morte, una cifra che rappresenta il più alto tasso di esecuzioni per numero di abitanti nel mondo intero.

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