Pagine

domenica 28 giugno 2015

Mauritania - Il popolo "sahrawi" senza patria del sahara occidentale

Il Post Internazionale
La mattina del 6 novembre 2014, Mohammed Abdallahi si trovava con la sua famiglia a Rabat, la capitale del Marocco, per protestare contro l'annessione, avvenuta nel 1976, del nord del Sahara occidentale da parte dello stato marocchino. Il popolo sahrawi, a cui appartiene Abdallahi, non riconosce quest'annessione e attende ancora un referendum che gli offra la possibilità di scegliere se essere un cittadino marocchino o meno. Durante la protesta, Abdallahi è stato arrestato dalle forze dell'ordine del Marocco.

Trentanove anni prima, il 6 novembre del 1975, circa 350mila civili marocchini provenienti da tutte le regioni del Paese, allora guidato dal re Hassan II, marciarono verso il Sahara occidentale per liberarlo dall'occupazione spagnola (1884-1975). La manifestazione è nota con il nome di Marcia Verde. Gli accordi di Madrid, firmati il 14 novembre di quello stesso anno, sancirono la ritirata degli spagnoli dal Sahara occidentale e la restituzione del territorio al Marocco e alla Mauritania.
L'annessione fu contestata dal Fronte Polisario, costituito il 10 maggio 1973 da un gruppo di sahrawi - abitanti del Sahara occidentale - con l'intento di costituire uno stato indipendente. Il 27 febbraio del 1976 il Fronte Polisario proclamò formalmente la Repubblica Araba Sahrawi democratica, oggi riconosciuta da 76 stati della comunità internazionale.
Il 6 settembre del 1991, dopo anni di guerriglia tra sahrawi e marocchini, fu firmato un cessate il fuoco monitorato dalla missione delle Nazioni Unite per l'organizzazione di un referendum nel Sahara Occidentale (Minurso). Ancora oggi la questione del Sahara Occidentale rimane formalmente irrisolta e il popolo sahrawi vive in esilio in una striscia di terra racchiusa tra il Marocco, la Mauritania e l'Algeria.

Quando Abdallahi fu arrestato, il 6 novembre del 2014, il re del Marocco Mohammed VI tenne un discorso in occasione dell'anniversario della Marcia Verde, in cui ribadì la volontà di creare un regno in cui la diversità non rappresentasse un fattore di divisione e in cui tutti i popoli del Marocco potessero vivere in maniera solidale. Abdallahi fu rilasciato dopo tre giorni. Poiché temeva per la sicurezza della sua famiglia, decise di rigettare la nazionalità marocchina, di lasciare il Paese in maniera definitiva e di ercare asilo politico altrove.

La sua odissea iniziò il 19 novembre del 2014, quando con la moglie Najat e i quattro figli - Oumayma, Errabab, Mohammed Fadel e Farah - salì su un autobus diretto a Dakhla, nel Sahara Occidentale, per poi raggiungere la frontiera di Guerguarat, al confine con la Mauritania. Dopo aver ottenuto il timbro di uscita, quando finalmente si preparava a oltrepassare il confine, fu fermato dalla gendarmeria che gli ritirò il passaporto e gli impedì di continuare. Per venti giorni restò accampato con la sua famiglia davanti al grande cancello che separa il Marocco dalla Mauritania.

Protestò ogni giorno, con il sostegno della moglie e dei figli, fino a quando il 5 gennaio fu nuovamente arrestato. Dopo tre giorni, senza tante spiegazioni, Abdallahi venne rilasciato e il Marocco gli accordò il permesso di lasciare il Paese. Insieme ai suoi quattro figli e la moglie, i sei furono fermati nuovamente alla frontiera mauritana, dove restarono accampati altri due giorni, e l'11 gennaio finalmente raggiunsero Nouakchott, la capitale della Mauritania. Il 20 gennaio Mohammed e la sua famiglia furono riconosciuti come rifugiati e ricevettero una casa e una minima assistenza finanziaria, con la promessa di essere reinsediati in un Paese terzo entro tre mesi.

Il primo giugno Mohammed, la moglie e i quattro figli erano ancora a Nouakchott. La figlia maggiore, ormai undicenne, ha perso un anno di scuola; la figlia più piccola ha cominciato a mettere i denti e l'asma dell'altra figlia si aggrava sempre di più. Mohammed, stanco dell'attesa, ha deciso di ricominciare la sua protesta. Si è accampato davanti alla sede dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) con una tenda e due tappeti per chiedere di essere trasferito in un altro Paese che possa permettere ai figli di studiare e curare la loro asma.

Il reinsediamento in un Paese terzo, definito come trasferimento (generalmente mediato dall'Unhcr) di un rifugiato dallo stato di primo asilo a un Paese terzo che abbia accettato di accoglierlo come rifugiato, è una delle tre soluzioni durature individuate per i rifugiati, assieme all'integrazione nella società di accoglienza e al rimpatrio volontario. Generalmente, questa opzione viene adottata quando le altre due risultano impraticabili per motivi oggettivi o per motivi legati alle caratteristiche individuali dei singoli.

Tuttavia, sono ancora pochi gli stati che fanno parte dei programmi di reinsediamento. Di conseguenza, nonostante la mediazione e il supporto offerto dall’Unhcr, non sono molti i rifugiati che hanno occasione di beneficiarne. Mohammed dovrà forse attendere ancora molto perché la sua richiesta venga accolta, ma ha deciso di non arrendersi e ogni mattina mi dice buongiorno quando, avviandomi a piedi verso il lavoro, passo davanti alla sua tenda.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.