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giovedì 16 aprile 2015

Birmania: continuano le violazioni dei diritti umani - Rapporto 2014 ND-Burma

Corriere della Sera
Naypyidaw- I governi occidentali, dopo la promessa di riforme democratiche e politiche, hanno in gran parte cancellato le sanzioni economiche alla Birmania, e hanno così aperto le porte al commercio con la Nazione che molti indicano come la nuova «Tigre asiatica». Ma davvero la situazione nel Paese del sud-est asiatico sta cambiando? Secondo il rapporto «Report on the Human Rights Situation in Burma», stilato in questi giorni dal «Network for Human Rights Documentation Burma» (ND-Burma), sembrerebbe proprio di no.
La relazione, che si riferisce al periodo luglio/dicembre 2014, ha documentato 107 casi di violazione di diritti umani, avvenuti sia nelle zone dove sono in atto conflitti con le diverse etnie che richiedono l’autonomia, sia in quelle dove, in teoria, dovrebbe essere in corso il cessate il fuoco. Le violazioni documentate si riferiscono a vari episodi, come l’omicidio, l’arresto di giornalisti e attivisti dissidenti, il lavoro forzato, l’esproprio di massa dei terreni o quello di interi villaggi. Ma i casi potrebbero essere molti di più. «Molto spesso – si legge nel rapporto diffuso da ND-Burma – è difficile documentare gli abusi. La paura di ritorsioni e l’impunità quasi sistematica da parte dei militari, fa si che molte vittime non denuncino neanche le violenze subite».

La Birmania è un Paese ricco di risorse naturali: petrolio, gas e legname in primis, ma non solo. Incuneata tra le due potenze in continua crescita dell’India e della Cina, ha un potenziale di mercato altissimo e la manodopera – spesso giovane – si trova ad un costo molto basso. Tutto questo, come purtroppo succede in molte parti del mondo, fa si che i diritti umani si ritrovino al secondo posto. Superati a gran velocità dagli interessi economici. Così è accaduto anche a Daw Khin Win, una donna di 56 anni uccisa nel dicembre del 2014 dalla polizia birmana mentre, insieme ad altri abitanti di un villaggio nella zona di Letpadaung, si opponeva all’espropriazione del proprio terreno che sarebbe servito per la realizzazione di una miniera di estrazione di rame. Un progetto joint venture tra la società cinese «Wanbao» e quella birmana «Myanmar Economic Holdings Limited», controllata dai militari del Paese. Secondo molti testimoni, oltre alla sua morte, gli spari della polizia avrebbero causato il ferimento di almeno altre dieci persone accorse in difesa dei terreni. Questa, purtroppo, è solamente una delle tante storie che vengono raccontate nella relazione redatta da ND-Burma.

Il governo birmano aveva anche promesso di liberare tutti i dissidenti politici che lottano per i diritti civili entro la fine del 2013. Ma questo non è successo. I dati che ci vengono riportati dalla relazione, parlano di 81 attivisti attualmente in carcere.

«I continui arresti di persone che si battono per i diritti umani – ha detto Mai Thin Yu Mon, membro del team ND-Burma – dimostrano che il governo non è seriamente impegnato nel tutelarli».
E ha aggiunto una triste realtà: «I nostri dati fanno vedere che il volume delle violazioni dei diritti umani in Birmania non è affatto diminuito nella seconda metà del 2014. Anzi, al contrario, è aumentato».


di Fabio Polese

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