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venerdì 15 dicembre 2017

Dna, iride, impronte: la Cina profila la minoranza islamica degli uiguri

Corriere della Sera
Dna, scansione dell’iride, impronte digitali e quant’altro sia utile — parliamo di dati biometrici — per identificare una persona al di là di ogni dubbio. In Cina si è da poco conclusa un’operazione senza precedenti nel campo della schedatura dei cittadini. Con un piccolo particolare: riguarda la popolazione tra i 12 e i 65 anni di una sola provincia, lo Xinjiang.


Per l’agenzia , denominato «Visite mediche per tutti», ha uno scopo unicamente di salute generale ed è stato offerto «su base volontaria» a 19 dei 21 milioni di residenti della provincia autonoma della Repubblica Popolare, dove risiede la minoranza islamica uigura (11 milioni). 

Per Human Rights Watch, che ha denunciato la procedura, la realtà è diversa. «Questi dati — si legge in un rapporto pubblicato ieri sul sito dell’organizzazione internazionale — possono essere utilizzati per controllare una popolazione sulla base dell’origine etnica e sono una palese violazione dei diritti fondamentali dei cittadini». 

Sempre secondo l’organizzazione umanitaria, non tutti i partecipanti alla raccolta delle caratteristiche personali erano al corrente che i medici impegnati nella profilazione avrebbero trasmesso ai servizi di sicurezza l’intero database. «Le autorità locali dello Xinjiang — ha dichiarato Sophie Richardson, direttore dell’ufficio di Hrw dedicato alla Cina — dovrebbero cambiare nome all’intero progetto. Invece di “Visite mediche per tutti”, dovrebbero chiamarlo “Violazione della privacy per tutti”, dal momento che il consenso informato e una reale scelta non sembrano parte di questi programmi».

In base alle linee guida, differenti autorità fungono da centri di raccolta dei dati. I quadri di partito e la polizia sono responsabili delle fotografie, delle impronte digitali e della scansione dell’iride, oltre che dell’hukou (il permesso di residenza delle famiglie). 

Usano app per smartphone progettate appositamente. Invece le autorità sanitarie si occupano di raccogliere il Dna e i campioni di plasma per determinarne il gruppo sanguigno. Anche questi dati sono alla fine inviati alla polizia. Pechino ha respinto le accuse di Human Rights Watch, spiegando che il programma ha «uno scopo puramente medico-scientifico», mentre i risultati potranno essere utili per «alleviare la povertà della regione, assicurare una migliore gestione locale» e, soprattutto, «promuovere la stabilità sociale». 

Curioso tuttavia come la procedura abbia riguardato soltanto i residenti dello Xinjiang, provincia grande oltre cinque volte l’Italia, per lo più desertica (ma ricca di risorse naturali) nell’estremo Nordovest del Paese. Non solo, l’ordine di raccogliere i dati è stato esteso anche a chi si è spostato altrove in Cina, di fatto consegnando alle autorità di polizia un archivio capace di rintracciare nomi, volti e origine etnica di tutti, dentro e fuori la provincia.

Lo Xinjiang è percepito a Pechino come una regione «problematica». Molti degli attentati terroristici che hanno mietuto vittime in Cina sono stati rivendicati da «separatisti» uiguri. Ora, tutti i cittadini, senza distinzione, sono nell’occhio (digitale) del governo.

Paolo Salom

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