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venerdì 8 dicembre 2017

Rifugiati - Giudici di Lussemburgo si avviano a deferire, Ungheria, Polonia e Cechia per il mancato rispetto dei piani di ricollocamento

Il ManifestoLa Commissione Ue deferisce Ungheria, Polonia e Cechia ai giudici di Lussemburgo. "Mi auguro che negli ultimi minuti che rimangono questi tre Paesi cambino posizione. Se sarà così ne terremo conto", dice Dimitri Avramopoulos al termine del Consiglio Affari interni di ieri. 


Le speranze del commissario europeo per l'immigrazione sembrano però destinate a rimanere tali. Le reazioni che arrivano da Polonia, Repubblica ceca e Ungheria alla decisione della Commissione Ue di deferire i tre Paesi dell'Est alla Corte di giustizia europea perché si rifiutano di accogliere richiedenti asilo da Italia e Grecia, non lasciano infatti pensare a un possibile passo indietro. 

"Per noi la migrazione illegale è una minaccia e nessuna pressione ci farà cambiare idea" ha subito fatto sapere il ministro degli Esteri di Budapest, Peter Szijjarto. Appena più conciliante il neo premier ceco Andrej Babis, che ha annunciato di voler proporre al Consiglio europeo del 14 dicembre soluzioni alternative per risolvere la crisi dei migranti. La sostanza, però, non cambia.

La decisione di ricorrere alla Corte di Lussemburgo è l'ultimo passo della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea contro Ungheria, Polonia e Cechia per la chiusura dimostrata al piano di ricollocamenti deciso nel 2015 dal Consiglio europeo. 

Un meccanismo che prevede la distribuzione automatica dei rifugiati tra gli Stati membri e la cui validità è stata confermata il 6 settembre scorso proprio dalla Corte di giustizia europea.

A Bruxelles si sperava in una cambio di passo da parte dei tre Paesi che con la Slovacchia formano il blocco di Visegrad. Invece niente. "Mentre gli altri Stati membri hanno ricollocato e preso impegni nei mesi passati - spiegava ieri una nota della Commissione - l'Ungheria non ha intrapreso nessuna azione", "la Polonia non ha ricollocato nessuno e non ha preso impegni dal dicembre 2015" e "la Repubblica ceca non ha redistribuito nessuno dall'agosto 2016 e non ha preso alcun impegno per oltre un anno". Insomma chiusura totale, è la conclusione amara.

Adesso il deferimento alla Corte di Lussemburgo è destinato a complicare ulteriormente i già difficili rapporti tra le istituzioni europee e i paesi dell'Est. Per quanto riguarda l'Ungheria, in particolare, ieri la Commissione ha anche deciso di ricorrere al parere della Corte di giustizia per quanto riguarda la legge anti-Ong approvata da Budapest, ma anche di procedere con la procedura di infrazione in relazione alla sua legislazione in materia di diritto d'asilo. 

"Una cosa deve essere molto chiara: non possono esserci soluzioni alla free-rider" ha spiegato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, lasciando intendere che nessun Paese può decidere da solo come agire. "Se uno Stato membro si trova ad affrontare una crisi, deve poter contare sulla solidarietà di ciascun altro Stato membro. Non ci si può sfilare dalla solidarietà perché non ci si sente a proprio agio".

Seppure indirettamente, la risposta a Timmermans è arrivata da Varsavia. Le quote - spiega una nota del ministero degli Esteri polacco - non solo non hanno contribuito a migliorare la situazione della migrazione né la sicurezza europea", ma "hanno approfondito in modo significativo le divisioni tra gli Stati membri". Una situazione a quanto pare destinata a proseguire.

Carlo Lania

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