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mercoledì 13 febbraio 2019

Yemen. Le madri e mogli in piazza contro le sparizioni forzate dei loro cari

Corriere della Sera
Un gruppo di donne si sta battendo contro gli arresti e le torture degli oppositori. "Sosteniamo le madri, le mogli e le vedove, costrette a mesi se non anni di doloroso silenzio senza conoscere la sorte dei loro cari". C'è la madre di Mohammed Anawm che si aggrappa ad una foto di due anni fa del figlio che lo ritrae in condizioni orribili.


O la madre di Yasser Al-Kaladi cui una guardia ha detto che suo figlio è morto sotto tortura e che non si rassegna perché non le hanno mai fatto vedere il corpo. O ancora Samah, una donna che ha viaggiato per più di 600 chilometri per vedere suo figlio, un venditore di dolciumi arrestato durante la festa di fidanzamento e torturato con le scosse elettrice. E poi ci sono gli amici e gli studenti di Zakaria Qasim, un docente di cui non si hanno più notizie da mesi.
Sono le donne di Abductees Mothers Association, un'organizzazione di stanza a Sana'a, Aden, Taiz, Al-Houdaida, Marib, Hajja e Ibb, in Yemen, che protestano contro le sparizioni forzate. 

"Siamo un'associazione femminile nata nel 2016, e con il sostegno di un gruppo di avvocati volontari stiamo dando supporto a 2000 famiglie", spiegano via mail al Corriere. Non hanno ufficio, né - sottolineano - ricevono finanziamenti dall'estero. "Molte delle nostre famiglie hanno perso i loro cari nei bombardamenti (i raid della coalizione saudita, ndr) ma hanno anche visto trascinare via un figlio, un fratello o un marito senza un'accusa formale. Noi sosteniamo le madri, le mogli e le vedove, costrette a mesi se non anni di doloroso silenzio senza conoscere la sorte dei loro cari".

Sostegno psicologico, aiuto legale, a volte anche solo un abbraccio permette di andare avanti a lottare. Ma per le madri yemenite si tratta anche di rischiare in prima persona. "Abbiamo lavorato sulle sparizioni operate dai militari nella zona di Aden ma dobbiamo difenderci anche dagli attacchi e dalle minacce dei gruppi Houthi che controllano le zone in cui viviamo".

Dopo che gli Houti - i ribelli sciiti sostenuti dall'Iran - hanno conquistato Sana'a nel settembre 2014 e hanno cercato di consolidare il potere in tutto il Paese, le forze della coalizione a guida saudita sono intervenute nel marzo 2015 per cercare di ripristinare il controllo del governo di Aden sull'intero Paese. I raid aerei guidati dai sauditi hanno ucciso centinaia di civili, colpito case, mercati, ospedali e scuole. Dall'altra parte, Human Rights Watch ha accusato gli Houthi di sparizioni forzate, di aver torturato e detenuto arbitrariamente numerosi attivisti, giornalisti, leader tribali e oppositori politici.

Spesso in gruppo, magari dopo essersi conosciute davanti ai cancelli delle prigioni in cui sono rinchiusi i loro cari, queste donne protestano in strada, con cartelli e fotografie, coperte dal niqab, contro le autorità che di volta in volta portano via i loro cari senza un motivo. "Le violenze settarie ormai dilaniano le nostre famiglie e le nostre vite", sottolineano. A dare conto delle loro manifestazione è anche Al Jazeera che riporta la notizia di uno sciopero della fame degli oppositori nella prigione di Bir Ahmed, nel governatorato di Aden.

"Sì, c'è stato uno sciopero della fame contro i ritardi nei processi. Il pubblico ministero ha emesso l'ordine di rilasciare alcuni detenuti, ma l'amministrazione penitenziaria non li ha attuati. Su 85 incarcerati ingiustamente ne hanno lasciati andare 15. Inoltre, le autorità di sicurezza stanno ritardando le procedure legali del resto degli altri detenuti", spiegano sempre via mail. Nella prima metà dell'anno scorso, la ong ha documentato 1.866 casi di rapimenti, tra cui 35 donne e 48 bambini, in aree controllate dagli Houthi Si dice che 723 siano stati rilasciati. L'Associated Press ha riferito nel giugno scorso citando familiari e avvocati che quasi 2.000 uomini sono scomparsi in prigioni clandestine gestite dagli Emirati, partner della coalizione guidata dall'Arabia Saudita e dal governo yemenita. Il governo degli Emirati ha smentito le accuse.

Marta Serafini

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