Pagine

martedì 6 febbraio 2018

Denis Cavatassi, l'italiano condannato a morte in Thailandia che lotta per la sua innocenza

La Repubblica
È sotto processo per l'omicidio del suo socio: si è sempre proclamato innocente. La condanna. Le lettere. La famiglia. Ora la sua storia arriva in Senato
"Mi rendo conto solo ora che il destino possa riservare delle esperienze che vanno oltre ogni immaginazione. Prima di vivere tutto questo non avevo mai riflettuto a fondo sul concetto di giustizia e di punizione, o su come, spesso, si possa essere troppo facilmente giustizialisti di fronte a quello che potrebbe essere anche un errore giudiziario". 
C'è un italiano che è stato condannato alla pena di morte. Si chiama Denis Cavatassi, ha 50 anni, ed è rinchiuso nelle carceri tailandesi con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio del suo socio, Luciano Butti, ucciso nel marzo del 2011 a Pukhet dove entrambi avevano un'attività di ristorazione. Questa è una delle lettere che in questi anni ha inviato in Italia, alla sua famiglia.

Cavatassi si è sempre detto innocente. Arrestato subito dopo l'omicidio fu rilasciato su cauzione. Poteva scappare. Non l'ha fatto. Ha aspettato il processo convinto di un'assoluzione. E invece è arrivata la condanna a morte. Ora è in corso l'appello. Romina, sua sorella, sta conducendo una battaglia perché venga riconosciuta l'innocenza di suo fratello. Accanto a lei c'è ora l'avvocato Alessandra Ballerini (la stessa delle famiglie di Giulio Regeni e Andy Rocchelli, tra le maggiori esperte in Italia di diritti umani), che la accompagnerà domani, martedì 6 febbraio, insieme con il fratello Adriano, Amnesty International, l'associazione 'Prigionieri del silenzio' e il senatore Luigi Manconi in Senato per raccontare a tutta l'Italia cosa è accaduto a Denis. E cosa sta accadendo.

"Le nostre speranze - spiega Romina a Repubblica - sono che venga assolto e dichiarato innocente, quale è. Speriamo e confidiamo nella serietà e professionalità della corte suprema, composta da tre giudici di esperienza. Speriamo che i giudici della corte suprema eseguano un esame attento della documentazione, dell'iter processuale e delle varie violazioni che ci sono state. Speriamo che gli si garantisca un processo equo che finora non c'è stato. Ci stiamo rivolgendo all'attenzione sociale e istituzionale perché vorremmo che il suo e il nostro inferno finisse, ma vorremmo anche che a tutti, colpevoli o innocenti che siano, venisse garantito un processo equo e un trattamento più umano.Quello che lui racconta è sconcertante e a tratti disumano".

Giuliano Foschini

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.