Pagine

lunedì 13 aprile 2020

Siria - Appello del Nunzio a Damasco: "Qui metà degli ospedali chiusi, il nemico adesso è il virus, se si diffonde potrebbe essere una catastrofe inimmaginabile"

Corriere della Sera
Il cardinale Zenari, Nunzio a Damasco: «Milioni di sfollati e due terzi e del personale sanitario è partito. La diffusione del virus provocherebbe un disastro di dimensioni inimmaginabili».
«In undici anni che sono qui non ho mai visto un’atmosfera così. In Medio Oriente, sa, c’è vita soprattutto la sera. Ora c’è solo un silenzio di tomba. Sto guardando fuori dalla finestra e non si vede neanche un cane. Alle 18 è scattato al coprifuoco che dura fino alle sei del mattino. La gente ha paura, molta paura…». Il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, sospira: «La diffusione del virus, qui in Siria, sarebbe una catastrofe inimmaginabile». 

Eminenza, a metà marzo la Siria è entrata nel decimo anno di guerra, il Papa all’Angelus si è associato all’appello del Segretario generale dell’Onu per un «cessate il fuoco totale» in tutto il mondo… 
«Dal 5 marzo, dopo l’incontro tra Putin ed Erdogan, è cominciata una tregua a Idlib, nel Nordovest, e finora ha tenuto, salvo qualche violazione. Nel Nordest, dove ci sono i curdi e le forze appoggiate dagli Usa, hanno accettato subito. Speriamo che sia la volta buona e tutti abbiano un po’ di buon senso. Adesso il nemico da combattere è il Coronavirus, ed è un nemico che fa una paura enorme». 

Qual è la situazione? 
«Mancano strutture e uomini. L’Oms, alla fine del 2018, calcolava che in Siria funzionasse solo il 46 per cento degli ospedali; gli altri erano chiusi, distrutti dalla guerra, o operavano solo in parte. Nel frattempo le cose sono peggiorate. Inoltre, dall’inizio del conflitto, due terzi dei medici e del personale sanitario sono partiti. E tutto questo in un Paese che ha patito più di mezzo milione di morti e con 12 milioni di persone fuori dalle proprie case, tra sfollati interni e rifugiati nei Paesi vicini».

Il contagio è arrivato? 
«Le autorità hanno cominciato a dichiarare l’esistenza di persone infettate una settimana fa, parlando di un caso positivo arrivato dall’estero. Di lì a qualche giorno hanno riferito di altri quattro in quarantena. Ma chi può sapere la situazione reale… Qui ci sono sei milioni di sfollati, molti ammassati nei campi profughi. Otto persone su dieci vivono sotto la soglia di povertà. La gente si chiede: se va così nei Paesi occidentali, come potremo fermare questo flagello qui?».


Sono state prese delle misure? «Sì, le stesse autorità hanno molta paura. Da una decina di giorni sono state chiuse scuole, università, moschee, anche le chiese non celebrano funzioni, hanno ridotto al 40 per cento il pubblico impiego, limitato i trasporti, ci sono diverse disposizioni per evitare assembramenti, ad esempio nei mercati, la sera scatta il coprifuoco…È una cosa che fa pensare, il segno che si teme un disastro». 

Dal 2017 avete promosso il progetto «Ospedali aperti», sostenuto dal Papa, dalla Cei e dalle donazioni e gestito dalla Fondazione Avsi , come vi state muovendo?
«Sì, abbiamo sostenuto l’ospedale italiano e quello francese a Damasco, e il St. Louis ad Aleppo. In due anni sono stati curati più di trentamila pazienti poveri. Adesso stiamo cercando di procurarci dei respiratori, magari da qualche paese vicino come il Libano, ma è difficile. Qui siamo isolati dal resto del mondo, mancano aerei…Speriamo di farcela».


Gian Guido Vecchi

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.