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venerdì 1 giugno 2018

Bangladesh, azioni antidroga «alla Duterte»: almeno 100 vittime

Il Manifesto
Il governo difende la polizia: «Hanno ucciso spacciatori che hanno reagito agli arresti»
Lo scorso 15 maggio le autorità del Bangladesh hanno inaugurato una campagna antidroga nazionale, con l’obiettivo di mettere in ginocchio la diffusione di yaba – un derivato a basso costo della metanfetamina mischiato con caffeina – nel paese. La «guerra alla droga» promossa dalla premier e leader del partito Awami League, Sheikh Hasina, ha già mietuto oltre un centinaio di vittime, cui si aggiungono arresti e condanne lampo per almeno 12mila persone.

Le modalità di intervento delle forze dell’ordine bangladeshi ricordano la campagna antidroga inaugurata due anni fa nelle Filippine dal presidente Duterte: una mattanza condotta in spregio dei diritti umani che, secondo il senatore filippino Antonio Trillanes, ha già superato la cifra record di 20mila omicidi extragiudiziali.

All’inizio del mese la premier Hasina, durante un comizio per celebrare il 14esimo anniversario della fondazione del Rapid Action Batallion (Rab, corpo d’élite della polizia nazionale), dichiarava: «Abbiamo avuto successo nella campagna militare contro la militanza dell’estremismo islamico. Ora dobbiamo continuare, occupandoci dell’abuso di droghe». Pochi giorni dopo, le teste di cuoio del Rab sono state dispiegate in tutto il Paese. Secondo l’agenzia di stampa Afp, il bilancio ufficioso degli scontri a fuoco tra il Rab e i sospetti spacciatori al 29 maggio ha raggiunto quota 102 morti, trenta in più rispetto al conteggio fatto solo tre giorni prima.

Il Rab, per contro, sostiene di aver ucciso 24 «grandi spacciatori», colpevoli di aver aperto il fuoco per primi: circostanze che non sono supportate da alcuna prova. Il ministro dell’interno Asaduzzaman Khan, difendendo l’operato delle forze di polizia, ha spiegato ad Afp: «Non c’è dubbio che le vittime degli scontri a fuoco siano spacciatori. La maggior parte di loro era armata e ha aperto il fuoco non appena ha visto la polizia. Non sono brave persone, c’erano tra i 10 e i 12 capi d’accusa contro ognuno di loro». Secondo le autorità bangladeshi, tutte le vittime della guerra alla droga sono morte o in sparatorie con i reparti del Rab, o in sparatorie tra gang rivali.

Lunedì 28 maggio, la Bangladesh National Human Rights Commission ha dato seguito alle preoccupazioni già palesate da attivisti per i diritti umani locali e internazionali, condannando ufficialmente la scia di omicidi extragiudiziali nel Paese. Il presidente della commissione, Kazi Rezaul Hoque, ha dichiarato: «Vogliamo che i criminali, chiunque essi siano, affrontino conseguenze all’interno di procedure legali».

Critiche all’operato del governo Hasina sono arrivate anche dai partiti d’opposizione, che hanno denunciato una serie di morti sospette di avversari politici dell’Awami League giudicati dalle autorità «capibastone» del racket di yaba di Teknaf, località al confine col Myanmar.

Lo spaccio di yaba in Bangladesh è alimentato dalle importazioni illegali provenienti dal Myanmar, responsabile per oltre il 90 per cento della produzione di metanfetamine su scala globale. L’ultimo rapporto della narcotici bangladeshi indica che il giro d’affari della yaba supererebbe i 600 milioni di dollari. In Bangladesh ci sarebbero almeno 7 milioni di tossicodipendenti, di cui almeno 5 dipendenti da yaba. Diffuse in particolare tra i giovani della classe media, la yaba è venduta sul mercato locale a un prezzo che oscilla, in base alla qualità del prodotto, tra gli 8 e i 20 euro a pasticca.

Matteo Miavaldi

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