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sabato 26 settembre 2020

Migranti, "Tra la vita e la morte": nuove prove delle violenze contro rifugiati nelle prigioni della Libia nel "Report" di Amnesty

La Repubblica
Nuovo rapporto di Amnesty international sulle violazioni dei diritti umani nelle carceri libiche. La pubblicazione il giorno successivo all’annuncio dell'UE di nuovo “patto sull’immigrazione”


Un nuovo rapporto di Amnesty international ribadisce le violazioni dei diritti umani che proseguono nelle carceri libiche. Il rapporto si chiama “Tra la vita e la morte” e viene pubblicato da Amnesty International il giorno dopo l’annuncio della Commissione Europea del suo nuovo “patto sull’immigrazione”, che non porta novità positive.

Il documento della Commissione, infatti, baserà il controllo dei flussi migratori su una cooperazione ancora più stretta con gli stati esterni all’Unione Europea ed è criticato da molte associazioni, operatori e operatrici umanitari.

Cosa succede in Libia. Nel rapporto di Amnesty si leggono resoconti agghiaccianti di migranti e rifugiati vittime o spettatori di torture, sparizioni, uccisioni, sfruttamento di altri esseri umani da parte di attori statali e non statali, come milizie, gruppi armati e trafficanti. “Nonostante le evidenze, anche quest’anno l’Unione Europea sta portando avanti politiche che intrappolano decine di migliaia di uomini, donne e bambini in un circolo vizioso di crudeltà, dimostrando disprezzo per le loro vite e la loro dignità” afferma amareggiata Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty per il Medio oriente e nord Africa.

Bloccare la collaborazione con le autorità libiche. Dal 2016, gli stati membri dell’UE tra cui l’Italia collaborano con la Libia attraverso fornitura di imbarcazioni veloci, formazione e assistenza nel coordinamento delle operazioni in mare, per far sì che chi intraprende il viaggio verso l’Europa sia intercettato e riportato indietro, aggirando così il divieto internazionale di respingimento. Si stima che dal 2016 siano state riportate in Libia 60.000 persone, più di 8.000 solo nel 2020.

Comandante della guardia costiera con mandato di arresto. Nel rapporto si legge di persone ricercate per crimini umanitari. Tra queste, Abdelrahman Milad, detto “al-Bija”, comandante della guardia costiera presso la città portuale di Al-Zawiya. Il suo nome figura nella lista di persone sottoposte a sanzioni da parte dell’ONU per il suo coinvolgimento nel traffico di esseri umani. Non ci sono alternative legali alla traversata in mare. 
Al momento, i programmi di evacuazione e reinsediamento non bastano ad assicurare un’uscita legale e sicura dalla Libia. Poco più di 5700 rifugiati in condizione di vulnerabilità ha beneficiato di questi programmi all’11 settembre 2020.

Il sistema attuale non funziona: ce ne vuole uno diverso. “Siamo pronti ad attraversare il mare. Non c’è alcuna evacuazione, alcun reinsediamento. I rifugiati in Libia sono in pericolo. 

Siamo tra la vita e la morte”, ha dichiarato ad agosto un rifugiato ad Amnesty International. Pandemia, razzismo e discriminazione. La pandemia ha esacerbato il razzismo e sempre di più i migranti sono accusati di aver diffuso il virus nel Paese, e si chiede la loro espulsione. 

Le ricerche di Amnesty hanno rivelato che nel 2020 le autorità che controllano la Libia orientale hanno espulso oltre 5000 rifugiati e migranti senza un giusto processo e senza che potessero contestare il provvedimento. L’accusa per tutti era quella di essere “veicoli di malattie contagiose”. 

In un caso evidente di discriminazione, un gruppo armato ha impedito a un pullman di entrare nella città sudorientale di Kufra, fino a quando non ne fossero scesi tre cittadini del Ciad. 

Questi sono stati costretti a fare il tampone e sono stati poi lasciati nel deserto fuori dalla città. I restanti passeggeri, tutti di nazionalità libica, hanno potuto procedere senza essere sottoposti ad alcun test.

Flavia Carlorecchio

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