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lunedì 17 febbraio 2020

I migranti irregolari e senza diritti fonte di mano d'opera per il caporalato anche in Veneto: pagati 3 euro all’ora per 11 ore di lavoro al giorno

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Nelle province di Venezia, Padova e Rovigo lavoratori immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno venivano costretti a lavorare nei campi per undici ore al giorno in cambio di un salario di appena tre euro all’ora. Gli operai erano senza contratto, senza protezioni e non godevano di nessun giorno di riposo.

Nei campi per undici ore al giorno in cambio di una retribuzione di appena tre euro all'ora. L'ennesima storia di sfruttamento arriva dal ricco nordest, dove due giorni fa i carabinieri della Tutela del lavoro di Venezia con il supporto dell’Arma territoriale di Venezia, Padova e Rovigo, a conclusione dell'indagine “Miraggio”, hanno eseguito quattro misure cautelari consistenti nell’obbligo di dimora nei confronti di altrettanti cittadini marocchini responsabili di aver costituito un’associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera. 

Le indagini hanno consentito di accertare come i "caporali" impiegassero 13 loro connazionali, alcuni irregolari, nella raccolta dell’uva e potatura dei vigneti privi di ogni dispositivo di protezione.

L'inchiesta ha permesso di scoprire un'organizzazione che operava nella zona di Cavarzere e nelle province di Padova e Rovigo attraverso un'impresa agricola che reclutava la manodopera per lavorare in aziende della zona. Il "business" della società si concentrava nello sfruttamento di operai extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno. A finire sotto la lente d'ingrandimento dei militari sono stati cinque uomini marocchini: uno era il titolare dell'azienda, un altro aveva il compito di pagare i lavoratori, mentre gli altri svolgevano le funzioni proprie del "caporale", cioè reclutando, trasportando e sorvegliando la manodopera nei campi. Fondamentali per smascherare l'organizzazione sono state le testimonianze di numerosi lavoratori, oltre a servizi specifici di controllo e pedinamento.

Le indagini hanno portato alla luce un'associazione per delinquere che approfittava dei bisogni e della vulnerabilità dei lavoratori, che venivano reclutati con l'inganno di un contratto regolare di lavoro dipendente. In realtà, la manodopera era ridotta ad uno stato di soggezione lavorativa continuata, senza riposo settimanale e ferie. Dei contratti non c'è mai stata traccia e i lavoratori erano costretti ad operare senza le minime precauzioni di sicurezza, salute ed igiene, sotto la minaccia di perdere il lavoro.

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