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venerdì 29 maggio 2015

Libia, condizioni penose per i migranti nei centri di detenzione: "meglio tornare a casa"

AKI
Mesi in un centro di detenzione per migranti illegali hanno fatto sì che, per molti, si infrangesse il sogno di raggiungere l'Europa scegliendo piuttosto quello di "tornare a casa". Lo raccontano alcuni degli uomini che hanno tentato di lasciare la Libia sperando in una vita migliore in Europa e che hanno incontrato maltrattanti e abusi nei centri di detenzione del Paese nordafricano.
"Non voglio più andare in Europa, voglio solo tornare a casa" racconta uno di loro, Charles, all'agenzia dell'Onu Irin. Dopo aver attraversato il deserto del Sahara, dopo aver subito violenze da parte dei contrabbandieri, i migranti che riescono a raggiungere la Libia rischiano l'arresto e un lungo periodo di detenzione in uno dei 20 centri ufficialmente riconosciuti nel Paese. Uno di questi, il centro Krareem, si trova alla periferia di Misurata e detiene oltre 1.100 migranti.

"Qui ci sono centinaia di persone e alcuni di loro sono stati picchiati", racconta Abu, 24 anni, proveniente dalla Somalia. "Nei nostri Paesi si combatte per cui ce ne siamo andati in cerca di un futuro migliore, ma qui va molto male, le nostre vite sono state spente. Aiutateci per favore", aggiunge. Una delle guardie carcerarie spiega che il centro di Krareem è sovraffollato, per cui 219 uomini e 31 donne sono stati trasferiti in un altro alla periferia di Tripoli.

"Spesso spariamo in aria per mantenere il controllo", racconta il responsabile del centro di detenzione, Mohamed Ahmed al-Baghar, che parla di 34 guardie incaricate di gestire più di mille e cento migranti. "È un centro piccolo, per cui ho mandato molte persone ad altri centri. La situazione peggiora perché continuano ad arrivare immigranti irregolari", spiega.

"La situazione qui è molto dura. Ci sono scontri ogni giorno per usare il bagno, perché ogni giorno centinaia di persone usano gli stessi servizi", spiega Alaji, 25 anni dal Gambia, detenuto da cinque mesi. "Ci picchiano con le catene - spiega Alaji - Ieri qualcuno ha provato a fuggire, così ci hanno picchiato tutto il giorno".

Molti migranti sono costretti a fare lavori duri. "Ci usano come asini da lavoro. Potrebbe usare le macchine, ma usano esseri umani. E se ci lamentiamo, ci picchiano. Ci trattano come criminali", spiega Alaji, che per sei mesi ha lavorato a Tripoli come pittore e decoratore prima di essere arrestato perché senza documenti. Solo un piccolo numero di detenuti è tornato a casa con un programma di rimpatrio volontario gestito dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni, ora attivo in Tunisia, in collaborazione con alcuni governi dei Paesi d'origine. Ma si parla di sole 400 persone rimpatriate in questo modo dal luglio 2014.

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