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venerdì 18 giugno 2021

Arabia Saudita - Pena di morte - Ucciso Mustafa Hashem al-Darwish a 26 anni per un "reato" (una foto sul cellulare) compiuto quando aveva 17 anni

AsiaNews
Oggi 26enne, il giovane era accusato di aver fomentato disordini e di aver seminato discordia. Fra le prove a suo carico una foto nel telefonino. La famiglia ha saputo solo in secondo momento dell’esecuzione. Lo scorso anno Riyadh aveva annunciato la moratoria sulla pena di morte per i minori di 18 anni.
Mustafa Hashem al-Darwish

Riyadh ha giustiziato un ragazzo condannato a morte per crimini commessi quando aveva solo 17 anni all’epoca dei fatti, smentendo una volta di più i ripetuti annunci dello scorso anno sulla moratoria alla pena capitale per i minorenni. La vittima è Mustafa Hashem al-Darwish (nella foto), arrestato nel 2015 per reati legati a proteste di piazza contro i vertici del regno wahhabita.

Il giovane è stato incriminato per aver formato una cellula terrorista e fomentato una rivolta armata. Attivisti e ong pro diritti umani hanno invocato in più occasioni la sospensione dell’esecuzione, sottolineando che la sua condanna si inserisce nel quadro di un processo ingiusto e caratterizzato da vizi di forma. Amnesty International e Reprive hanno ricordato che il 26enne aveva ritrattato la confessione estorta a forza dietro torture.

Le autorità saudite non hanno mai voluto commentare o smentire le accuse. Per la Reuters esse includevano il “cercare di disturbare la sicurezza con disordini” e “seminare discordia”. Fra le prove vi sarebbe anche una foto “offensiva verso le forze di sicurezza” e la sua partecipazione in oltre 10 “manifestazioni” di protesta fra il 2011 e il 2012.

La famiglia di Hashem al-Darwish non ha ricevuto alcuna comunicazione dell’imminente esecuzione e lo ha saputo solo per aver letto la notizia in internet. La condanna è stata eseguita a Damman, cittadina ricca di petrolio della Provincia orientale. “Come si può - affermano i parenti - giustiziare un ragazzo a causa di una fotografia sul suo telefono?”. “Dal suo arresto - prosegue la nota - non abbiamo conosciuto altro che dolore”.

Nell’aprile dello scorso anno re Salman aveva emanato un decreto, che metteva fine alle condanne a morte per i crimini commessi da minori e commutando la pena a un massimo di 10 anni di prigione in un carcere minorile. Tuttavia, al momento della pubblicazione dell’atto non veniva indicata la data di entrata in vigore della riforma mentre gruppi attivisti hanno avvertito che la pena capitale resta sempre valida.

Peraltro la convenzione Onu per i diritti dell’infanzia, che Riyadh ha sottoscritto, afferma che la pena capitale non va applicata per reati commessi da minorenni. Una prassi comune nel regno wahhabita, fra le nazioni al mondo con il maggior numero di repressioni ai diritti umani, perpetrati anche e soprattutto da apparati dello Stato.

Il gruppo attivista Reprive riferisce che l’Arabia Saudita ha già giustiziato nei primi sei mesi del 2021 lo stesso numero di persone uccise dal boia in tutto il 2020.

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