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domenica 12 luglio 2015

Corea del Nord e pena di morte, esecuzioni in aumento.

Diritto di critica
Circa 1.400 esecuzioni pubbliche a partire dal 2000, tra le vittime illustri anche lo zio del dittatore Kim Jong-un e il funzionario governativo Jang Song-Thaek. La furia del leader supremo nordcoreano, quando si tratta di minaccia alla sua leadership e di alto tradimento alla Repubblica Popolare, non sembra placarsi, nonostante gli appelli della comunità internazionale e delle associazioni dei Diritti Umani.
Attualmente, non esistono rapporti ufficiali che testimoniano la carneficina in atto. L’ Istituto coreano per l’Unificazione nazionale, finanziato dalla governo della Corea del Sud, nella sua pubblicazione annuale parla di 1.382 esecuzioni pubbliche, monitorate in un periodo di 13 anni.
Il numero, secondo interviste approfondite e dichiarazioni di alcuni disertori nordcoreani, potrebbe essere anche superiore. Il dato più alto dovrebbe riguardare il 2009, anno in cui furono fuciliate 160 persone. Ufficialmente, i media della Corea del Nord hanno comunicato due sole esecuzioni nel 2014, nessuna nel 2015 e una fucilazione nel 2009.
Tortura, detenzione e pena capitale rappresentano gli strumenti più utilizzati per soffocare il crescente dissenso nel paese. Il quotidiano sudcoreano Joongang Daily ha riferito che negli ultimi due anni migliaia di cittadini nordcoreani sono stati costretti ad assistere alle esecuzioni pubbliche, molte delle quali fucilazioni, negli stadi. 

Ciò rappresenta uno strumento, a disposizione del regime, per mantenere alto il consenso popolare, nonostante il traffico di droga e quello delle pellicole cinematografiche sia in aumento. 

Numerosi i “crimini contro il regime” e Amnesty International stima che circa 200mila nordcoreani siano in prigione. 

Un’emergenza umanitaria, della cui portata le associazioni umanitarie faticano a quantificarne l’effettiva entità, dato che la Corea del Nord non consente loro l’accesso. Il paese asiatico a nord del 38° parallelo ha lo 0,3% della popolazione mondiale, ma il 10% delle esecuzioni del globo (776 totali). Il restante numero è conteso da paesi come Iran, Iraq e Arabia Saudita, che rappresentano l’80% delle esecuzioni mondiali. Gli Stati Uniti hanno giustiziato tra il 2000 e il 2013 ben 761 persone. Atri paesi, come la Cina, rifiutano di comunicare il dato ufficiale. Dal 1996 l’Istituto coreano per l’Unificazione nazionale ha pubblicato statistiche annuali sulle esecuzioni. Il dato si basa sulle testimonianze di 221 nordcoreani, selezionati su base demografica e sul totale di 1.396 fuggitivi che lo scorso anno hanno raggiunto il sud del paese.

Alessandro Proietti

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