Pagine

lunedì 26 aprile 2021

Etiopia - La brutale guerra del Tigray sul corpo delle donne. Stupro usato come arma.

Il Manifesto
Etiopia. La crisi umanitaria nella regione etiope si allarga. Stupro usato come arma  E mentre il Tplf avanza e guadagna nuove reclute, gli Stati Uniti chiedono il ritiro eritreo e Sudan ed Egitto avvertono sul caso caldissimo della Grande diga
Donne del Tigray fuggite al conflitto e alle violenze 
Prima era un’operazione di polizia, poi l’operazione è terminata ed è iniziata una guerra. Poi la guerra è finita, ma i combattimenti proseguono. Prima c’erano gli eritrei, poi gli eritrei se ne sono andati e invece sono ancora lì.

È la narrazione che è andata avanti durante questi sei mesi di conflitto nella regione etiope del Tigray e di cui non si vede la fine, anzi le milizie del Tplf sembrano guadagnare vittorie e soprattutto nuove reclute.

Tutto è molto complicato fuori dalle città e vi sono denunce di tentativi di manipolazione dei media occidentali. Secondo l’antropologa Natalia Paszkiewicz ai rifugiati del campo di Hitsats il Tplf avrebbe fatto «indossare uniformi dell’esercito eritreo» e li avrebbe obbligati a «tagliare il seno a un gruppo di donne». Ma gli scontri tra rifugiati e Tplf avrebbero interrotto la scena.

Fatto sta che le violenze continuano e i civili ne fanno per primi le spese: il 12 aprile 19 civili feriti gravi sono stati portati all’ospedale Kidane Mehret di Adua. A ferirli sarebbero stati soldati eritrei che indossavano uniformi dell’esercito etiope.

Oltre la violenza delle armi sussiste la violenza dei corpi: secondo Mark Lowcock responsabile per gli aiuti umanitari dell’Onu la violenza sessuale è usata come arma di guerra nel Tigray. La crisi umanitaria, continua il funzionario, «si è aggravata nell’ultimo mese per le difficoltà di accesso in diverse aree e le persone muoiono di fame».

I problemi non riguardano solo il Tigray. La settimana è stata segnata da violenze anche nella zona di North Shewa, nella regione Amhara dove sono state uccise almeno 18 persone. Il principale indiziato delle violenze è l’Oromo Liberation Army (Ola) che tuttavia ha dichiarato di non essere presente nell’area dove sono avvenuti gli scontri.

A emergere, secondo la Commissione etiope per i diritti umani, «è la brutalità delle violenze. Non sono solo gli omicidi, ma l’entità della brutalità».

Altro problema ancora in essere è la diga della rinascita etiope (Gerd). L’Etiopia intende riempire l’invaso nel prossimo mese di giugno (stagione delle piogge), ma secondo Sudan ed Egitto questo avrebbe conseguenze gravissime. I colloqui di mediazione di Kinshasa sotto l’egida dell’Unione africana sono falliti e ieri il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok ha chiesto un vertice urgente ai leader dei tre Paesi.

L’inviata del governo americano presso l’Onu Linda Thomas-Greenfield ha chiesto il ritiro delle truppe eritree dall’Etiopia «immediatamente» dopo le denunce di stupri e violenze sessuali. L’Eritrea ha respinto le accuse di abusi e un alto funzionario ha dichiarato alla Bbc che le accuse sono «fabbricate».

Al Consiglio di sicurezza Onu l’ambasciatore eritreo Sophia Tesfamariam ha dichiarato che «il ritiro delle forze eritree è iniziato, poiché la minaccia è stata sventata», ma per Lowcock «non ci sono prove del ritiro». Una lunga cicatrice percorre testa e spalla del Paese, come una collana rotta.

Fabrizio Floris

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.