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martedì 5 aprile 2016

Pakistan - Diventa cupo il clima intorno ad Asia Bibi cristiana condanna alla morte per blasfemia

Vatican Insider
C’è una taglia sulla testa della donna condannata a morte per blasfemia in Pakistan e il governo rafforza le misure di sicurezza in carcere. Anche un fronte di avvocati ne caldeggia l’esecuzione

Il cielo sopra Asia Bibi si fa nero. Si complica e assume contorni inquietanti il tragico caso della donna cristiana condannata a morte per blasfemia sei anni fa e oggi in attesa di verdetto definitivo davanti alla Corte suprema.

L’atmosfera sociale e religiosa in Pakistan è a tinte fosche dopo l’esecuzione capitale di Mumtaz Qadri, il killer del governatore Salman Taseer, giustiziato il 29 febbraio scorso. Qadri era ritenuto dai gruppi estremisti e dai partiti religiosi un «eroe» per aver ucciso nel 2011 Taseer, macchiatosi della colpa di aver dichiarato il suo sostegno ad Asia Bibi, la donna già condannata come «blasfema» e dunque meritevole di morte.
Oggi la spirale di odio e di vendetta, di fanatismo e di intolleranza che avvolge questa vicenda trova nuovamente un capro espiatorio nella madre cristiana rinchiusa in una cella di isolamento nel carcere di Multan. La ritorsione immaginata è uccidere Asia subito. Come confermano a Vatican Insider fonti vicina alla famiglia di Asia Bibi, le stesse autorità di polizia hanno segnalato timori crescenti sulla sicurezza della donna e hanno rafforzato la sorveglianza alla sua cella.

Secondo rapporti dell’intelligence pakistana, gruppi estremisti stanno già cospirando per una esecuzione extragiudiziale di Asia, come le circa 70 già avvenute nel Paese a partire dal 1986 per punire persone solo accusate di blasfemia, ma già considerate irrimediabilmente colpevoli. Alcuni leader islamici hanno chiesto pubblicamente la testa di Asia e, secondo una fonte di polizia citata dai mass media pakistani, una nuova poderosa taglia sarebbe stata messa sulla testa della donna: 50 milioni di rupie, circa 470mila dollari.

La situazione è incandescente e Asia versa in grave pericolo, così come lo sono i suoi familiari e le persone che lavorano per lei. A partire dal suo avvocato, il musulmano Saiful Malook, la cui storia professionale si lega a doppio nodo con quella di Taseer e Qadri: Malook, prima di dimettersi dalla Procura di Lahore, è stato il pubblico ministero che ha messo sotto inchiesta Qadri, avviandone la condanna in primo grado.

Spetta alle autorità di polizia oggi proteggere Asia Bibi. Secondo le nuove misure restrittive, solo al marito è permesso di incontrarla in carcere, mentre la donna cucina da sola il proprio cibo per prevenire qualsiasi tentativo di avvelenamento. Inoltre le guardie schierate per la sua sicurezza sono state accuratamente controllate e selezionate per garantire la loro fedeltà allo stato: basti pensare, infatti, che Qadri, prima di diventare il killer di Taseer, era la sua guardia del corpo.

È una battaglia decisiva per lo stato di diritto e legalità che oggi la nazione sta affrontando, per non soccombere alle pressioni degli islamisti e di quanti intendono manovrare l’amministrazione della giustizia in Pakistan, proprio mentre Asia è in attesa di udienza davanti alla Corte suprema, ultimo grado di giudizio.

E anche sul fonte della legalità si coagula un fronte anti-Asia Bibi: un’alleanza di centinaia di avvocati è responsabile dell’aumento dei procedimenti giudiziari per blasfemia, che solo nell’anno 2014 hanno toccato quota 1.400. Si tratta della rete «Tehreek-e-Khatam-e-Nabuvat» («Movimento per la finalità della Profezia»), che offre rappresentanza legale gratuita a quanti denunciano un caso di blasfemia.

La missione dichiarata del forum e del suo leader Ghulam Mustafa Chaudhry, avvocato difensore di Qadri, è garantire che chiunque commetta vilipendio all’islam sia processato e giustiziato. Da quando la rete è stata fondata, 15 anni fa, le denunce di blasfemia depositate in Punjab sono triplicate. Un avvocato del gruppo ha rappresentato l’accusa nel caso di Asia Bibi e cercherà di farla condannare in via definitiva.

Le pressioni e le campagne rilanciate dopo la morte di Qadri potrebbero inficiare il faticoso tentativo del governo di ritoccare la legge di blasfemia: dato che abrogare la normativa – introdotta trent’anni fa dal dittatore Zia ul-Haq senza alcuna approvazione del Parlamento – sembra oggi irrealistico, il fronte moderato della politica, della società civile e dei leader religiosi propone una modifica che ne eviti l’uso improprio, punendo per esempio, chi formula false accuse.

Quello che il fronte pro-blasfemia continua a ignorare bellamente è l’accurata ricerca storica che ha svelato – in una serie di interventi comparsi sul quotidiano pakistano Dawn – come tutte le maggiori scuole di pensiero islamiche concordino nel considerare la blasfemia un peccato che, secondo la stessa sharia (la legge coranica), può essere perdonato, specialmente quando è commesso senza alcuna intenzionalità.

Paolo Affatato

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