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martedì 26 aprile 2016

Burundi, un anno di violenze - Rischio di un nuovo conflitto etnico?

Il Caffè Geopolitico
Un nuovo conflitto etnico? – L’opposizione al Presidente è formata prevalentemente da tutsi e sono proprio le aree maggiormente popolate da questa etnia a essersi sollevate (anche in modo violento) contro la rielezione, risultando le più colpite dalla repressione.

Davanti al pericolo di una rivolta armata, esponenti del Governo, formato dalla maggioranza hutu, hanno rilasciato dichiarazioni sconcertanti, che hanno riportato alla mente lo spettro del genocidio ruandese del 1994. Alain Guillaume Bunyoni, ministro della Pubblica Sicurezza, si è spinto a rammentare ai tutsi di essere l’etnia minoritaria e che se le forze governative dovessero fallire nel placare la rivolta, ci sarebbero 9 milioni di hutu che non aspettano altro che un segnale da parte dell’esecutivo.

A perpetrare le violenze è proprio un braccio armato, composto per lo più da giovani militanti, chiamato Imbonerakure (“coloro che vedono lontano”, nella locale lingua kirundi), affiliato al partito di maggioranza CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia-Forze per la Difesa della Democrazia).
I critici del Governo sostengono che questo gruppo sia formato da miliziani che non si sono mai scrollati di dosso la mentalità della guerra civile e che ora vorrebbero trasformare i disordini in un conflitto etnico.

I rifugiati – Gli efferati scontri hanno spaventato gran parte della popolazione, che non vuole rivivere gli orrori degli anni passati. Per questo motivo ormai circa 250mila burundesi hanno lasciato le proprie case cercando rifugio nei Paesi vicini: Tanzania, Ruanda, Uganda e Repubblica democratica del Congo.
Un inviato delle Nazioni Unite ha reso noto che i campi di accoglienza sono affollatissimi: il principale, il Nyarugusu Camp in Tanzania, ospita 160mila persone (il terzo accampamento per rifugiati più grande al mondo), ma mancano cibo e beni primari, con donne e bambini vittime quotidiane di assalti sessuali.
La maggior parte dei rifugiati che sono riusciti ad abbandonare il Paese ha viaggiato di notte, attraverso la boscaglia, al fine di evitare le milizie leali al Presidente, le quali sono state protagoniste di numerosi assalti nei confronti dei fuggitivi.

La comunità internazionale – Allarmati dalla situazione in cui versa il piccolo Stato africano, molti organismi internazionali si sono mossi per scongiurare un inasprirsi del conflitto.
Diplomatici delle Nazioni Unite hanno visitato due volte il Paese, in dicembre 2015 e gennaio 2016. Alla seconda visita ha partecipato anche il segretario generale Ban Ki-Moon, che ha descritto l’escalation di violenza come agghiacciante.

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Matteo Nardacci

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