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mercoledì 31 luglio 2013

Bangladesh, la polizia spara e uccide chi scende in piazza per protestare: 150 uccisi dal febbraio 2013

La Repubblica
Lo scrive in un rapporto di 48 pagine Human Rights Watch (HRW). Le forze di sicurezza hanno usato una forza eccessiva nel rispondere alle manifestazioni, uccidendo almeno 150 manifestanti e ferendone almeno 2.000, dal febbraio 2013 ad oggi. Molti gli arresti illegali, secondo il rapporto di HRW. Chiuse anche due Tv 
NEW YORK - Le forze di sicurezza del Bangladesh - denuncia Human Rights Watch (HRW) in un rapporto di 48 pagine pubblicato oggi - hanno spesso usato una forza eccessiva nel rispondere alle proteste di piazza, uccidendo almeno 150 manifestanti e ferendone almeno 2.000, dal febbraio 2013. Mentre un gran numero di manifestanti sono stati arrestati, le autorità di governo non hanno fatto nessuno sforzo significativo per contenere e poi perseguire i responsabili delle forze di sicurezza.

Blood On The Streets è il titolo del rapporto. L'accusa di un uso eccessivo della forza durante le proteste in Bangladesh, trova fondamento in 95 interviste con le vittime e i loro familiari, testimoni, difensori dei diritti umani, giornalisti e avvocati. Il rapporto documenta, caso dopo caso, come la polizia e i reparti paramilitari Rapid Action Battalion (RAB) hanno aperto il fuoco contro la folla ed hanno picchiato la gente brutalmente. In alcuni casi, le forze di sicurezza hanno anche effettuato esecuzioni extragiudiziali. Human Rights Watch ha anche documentato l'uccisione di almeno una dozzina di membri delle forze di sicurezza e agenti di polizia nel corso delle proteste, oltre a tre membri del governo, del partito Lega Awami.

L'origine degli scontri. "Con le elezioni nazionali - ha detto Brad Adams, direttore per l'Asia di Human Rights Watch - le proteste di piazza tenderanno ad aumentare ed essere più frequenti, tanto da aumentare il rischio di ulteriori violenze. Se il governo non prenderà misure energiche per tenere a freno le forze dell'ordine - ha detto ancora Adams - potrà versarsi ancora più sangue sulle strade entro la dine dell'anno". Le grandi proteste sono iniziate nel febbraio scorso nel paese asiatico, in risposta alle decisioni del Tribunale penale internazionale (TIC) istituito per mettere sotto processo i responsabili di crimini di guerra ed altri abusi, durante la guerra di liberazione del Bangladesh nel 1971.

Le condanne a morte e all'ergastolo. Un gran numero di manifestanti sono scesi in piazza per chiedere la pena di morte, dopo che il giudice ha inflitto una condanna all'ergastolo per un membro anziano del partito Jamaat-e-Islami. I sostenitori della formazione politica hanno indetto scioperi ed hanno organizzato dimostrazioni il 28 febbraio scorso, in seguito alla condanna a morte contro la vice-presidente del partito Jamaat, Delwar Hossain Sayedee. Le forze di sicurezza hanno ucciso decine di persone e centinaia ne hanno ferite, tra manifestanti e passanti, continuando poi a reprimere ogni forma di protesta degli aderenti al partito Jamaat, durante le manifestazioni che si sono svolte tra febbraio ed aprile.

"Sparavano a distanza ravvicinata". Un'altra ondata di sanguinose violenze si sono avute in risposta ad una marcia di protesta che ha avuto luogo il 5 e 6 maggio scorso a Dhaka (capitale del Bangladesh) dal movimento islamico Hefazat-e-Islami. Le forze di sicurezza hanno affrontato decine di migliaia di manifestanti. Mentre in alcuni reparti della polizia sembravano aver rispettato gli standard minimi internazionali nel disperdere i manifestanti, secondo il rapporto di HRW in altri casi l'uso della forza da parte della polizia sarebbe stata illegittima. Sul terreno sarebbero rimasti almeno 50 morti e oltre 2.000 feriti. Human Rights Watch ha parlato con i testimoni, i quali hanno dichiarato di aver visto i manifestanti picchiati dalla polizia i cui agenti sono stati visti anche sparare a distanza ravvicinata con pallettoni e lacrimogeni. "Mirava al mio petto - ha detto uno dei testimoni, un ragazzino di 12 anni - ma sei piccole palline di gomma hanno colpito la mia faccia. L'uomo che ha sparato - ha detto ancora - si trovava a 2 metri di distanza da me. Ho fatto finta di essere morto e così m'ha mollato".

"Ci vuole un'indagine indipendente". Il governo del Bangladesh - si legge nel rapporto - dovrebbe nominare una commissione indipendente per indagare sulla morte di decine di manifestanti, tra cui bambini e perseguire i responsabili di veri e propri omicidi sommari. Lo stesso governo dovrebbe inoltre consentire a relatori speciali delle Nazioni Unite di entrare nel paese per condurre valutazioni indipendenti. Risulta, inotre, che le forze di sicurezza hanno usato accuse penali pretestuose per intimidire i testimoni e i familiari dei manifestanti uccisi dalla polizia. Dopo le proteste, la polizia ha presentato denunce penali contro centinaia, talvolta migliaia, di "ignoti". La polizia sarebbe quindi entrata nelle comunità in cui vivevano i manifestanti, usando poi questi rapporti come giustificazione per arresti arbitrari di decine di individui. In particolare degli uomini ritenuti sostenitori del partito Jamaat. Molte personedi sinistra di queste comunità hanno avuto paura e sono stati indotti a nascondersi.

Il bavaglio ai Media. Human Rights Watch ha anche documentato un restringimento dello spazio per i media. Due televisioni che supportano i partiti politici di opposizione, Tv islamica e Diganta TV, sono state chiuse nella notte tra il 5 e il 6 maggio. Le due stazioni trasmettevano in diretta dai luoghi della protesta. Il governo ha anche chiuso il quotidiano d'opposizione Amar Desh e incarcerato il suo editore, Mahmdur Rahman, e altri giornalisti, così come quattro blogger che avevano espresso sentimenti atei nei loro scritti. "Le affermazioni del governo che sarebbe il più aperto e democratico nella storia del Bangladesh, sono minate dalla censura delle voci critiche", ha detto Adams. "Il governo può adottare misure ragionevoli per limitare l'incitamento alla violenza, ma questo non significa che debba arrivare alla chiusura dei media dell'opposizione".

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