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sabato 10 settembre 2016

Guatemala e Honduras: chi difende l’ambiente rischia la vita

Altraeconomia
Un rapporto di Amnesty International descrive la condizione che vivono gli attivisti nei due Paesi del Centro America. Secondo la coordinatrice Erika Guevara-Rosas, “sparare a qualcuno a bruciapelo perché ha scelto di affrontare interessi economici molto forti è, in pratica, permesso”. L’organizzazione lancia una campagna sul caso emblematico di Berta Cáceres, Goldman Prize 2015, assassinata sei mesi fa nella sua casa

“Difendere i diritti umani è una della professioni più pericolose in tutta l’America Latina, ma aver la pretese di proteggere le risorse naturali vitali trasforma questo ‘lavoro a rischio’ in qualcosa di potenzialmente letale”. 

Erika Guevara-Rosas è la direttrice per le Americhe di Amnesty International, e questa frase l’ha pronunciata a inizio settembre, a margine della presentazione del rapporto “Difendiamo la terra con il nostro sangue”, un’indagine sul campo condotta all’inizio del 2016, con interviste realizzata ad organizzazione e difensori del territorio e dell’ambiente in due Paesi dell’America Centrale, Guatemala e in Honduras.
Scelti, spiega l’organizzazione, perché si tratta delle nazioni con il più alto tasso di omicidi pro capite nell’intera regione tra coloro che s’impegnano attivamente per la tutela delle risorse naturali: “Un sorprendente 65 per cento degli omicidi di difensori dell’ambiente che lavorano su questioni legate a terra, territorio e ambiente registrati nel mondo nel 2015 (122 su 185) sono avvenuti in America Latina”. Di questi, ben otto in Honduras e 10 in Guatemala.

Nei due Paesi oggetto di questo rapporto, che è il primo di una serie di inchieste dedicate a tutti i Paesi dell’area, Amnesty International ha potuto individuare alcune delle cause fondamentali della situazione, che in Guatemala rimandano al conflitto armato interno che si è chiuso con gli Accordi di pace del 1996: il tema è quello del “nemico interno”, che negli anni Ottanta ha portato a compiere un genocidio nei confronti dei popoli indigeni, e che oggi si traduce in una campagna costante di diffamazione e stigmatizzazione per portare discredito sui difensori dell’ambiente. Secondo quanto riscontrato da Amnesty, l’utilizzo costante di termini come “terrorista”, “nemico”, “oppositore”, “delinquente” e anche “narcotrafficante” nei confronti dei membri delle organizzazioni di tutela dei diritti umani incrementa il numero di attacchi, aggressioni e minacce nei loro confronti.

Per quanto riguarda l’Honduras, a partire dal colpo di Stato del 2009 si è “rafforzata l’ostilità” nei confronti dei difensori, tanto che la maggioranza “delle comunità e dei movimenti intervistati da Amnesty vede tra i proprio membri soggetti beneficiari di misure cautelari di protezione concesse dalla Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH)”. L’organizzazione sottolinea però come lo Stato hondureño sia “venuto meno nell’implementazione di misura di protezione effettiva per i difensori”. E cita, come esempio, il caso di Berta Cáceres Flores, coordinatrice generale del COPINH e Goldman Prize 2015, assassinata nella sua casa de La Esperanza nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016. Anche Cacéres Flores avrebbe dovuto godere di misure cautelari.

di Luca Martinelli

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