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sabato 21 marzo 2020

Coronavirus. Paura tra i profughi siriani: "Qui non abbiamo neanche l'acqua e il sapone per lavarci le mani"

La Repubblica
Nelle regione di Idlib, pesantemente bombardata da dicembre, sono del tutto assenti le strutture sanitarie per arginare la pandemia. Il regime di Damasco nega possibili contagi nel Paese. Ma fino a ieri sono rimasti aperti tutti i collegamenti con l'Iran, grande focolaio di infezioni.

Quando nel campo di Atmeh, al confine turco-siriano, sono arrivati gli operatori umanitari con le tute blu e le mascherine sul volto, i profughi hanno subito pensato che il Covid-19 li aveva ormai raggiunti. 

E molti di loro sono stati presi dal panico, come racconta Ibrahim Fahal, padre di sette figli fuggito dalla guerra che ancora insanguina il suo Paese: "In molti se l'aspettavano, ma adesso sono ancora più terrorizzati di prima, perché qui non abbiamo neanche l'acqua e il sapone per lavarci le mani". 

E teme il peggio anche lo staff che gestisce il campo, consapevole che sono totalmente assenti le strutture per arginare la pandemia. Nei campi nella regione di Idlib, ancora controllato dalle forze della rivolta contro il regime di Damasco, sono arrivati dallo scorso dicembre circa 900 mila persone, in fuga dall'offensiva delle truppe lealiste spalleggiate dall'aviazione di Mosca. I bombardamenti hanno colpito con stupefacente precisione molte strutture sanitarie della regione, ospedali, cliniche, annientando quindi una possibile risposta al coronavirus.

“Centinaia di migliaia di persone vivono in tende sovraffollate”, spiegano i Caschi bianchi, il corpo civile di intervento e soccorso che opera nelle zone non sotto il controllo di Damasco. I Caschi bianchi hanno lavorato con altre organizzazioni per preparare 60 posti letto nell’eventualità di una crisi sanitaria, e sono state fatte alcune operazioni di sterilizzazione di spazi comuni nella provincia di Aleppo, ma le strutture mediche dell’area sono al collasso, meno della metà degli ospedali è ancora attiva. “Più di 3,5 milioni di civili sono intrappolati nel nord ovest della Siria con ospedali bombardati e servizi sanitari molto limitati. Una epidemia di coronavirus è solo questione di tempo e il numero di persone che potrebbero essere colpite potrebbe essere devastante”, scrive Laila Kiki direttore di Syria Campaign. Ad oggi verificare l’esistenza di casi di Coronavirus è ancora impossibile a Idlib perché non ci sono i test. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto sapere di esser pronta a cominciare a sottoporre la popolazione ai tamponi.

Secondo Adam Coutts, specialista di salute pubblica dell'Università di Cambridge, i profughi sono tra le persone più vulnerabili al virus. "L'Oms ha chiesto a tutti i Paesi di prepararsi per contenere la diffusione del Covid-19, ma molto poco è stato fatto per aiutare in questo senso le popolazioni che vivono nei campi profughi in Medio Oriente e in Europa". La stessa denuncia è giunta da parte del personale dell'Organizzazione per le migrazioni, dell'Alto commissariato Onu e per i rifugiati e di altre ong. "Neanche al campo di Moria, sull'isola di Lesbo, che ospita 20 mila persone quand'era stato pensato per sole 3 mila, c'è abbastanza acqua per lavarsi le mani né c'è la possibilità di mantenere una distanza di sicurezza tra le persone", dice Hilde Voochten, coordinatrice sanitaria di Medici senza frontiere.

Inanto il regime siriano ha smentito che ci siano casi accertati di coronavirus nelle zone sotto il suo controllo, dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi che parlavano di decine di contagiati a Daraa, Latakia e in altre zone del Paese. Ma fino a ieri i collegamenti aerei tra Damasco e l’Iran, che è uno dei focolai di infezioni più virulenti nel mondo, sono rimasti attivi, ed è continuato il passaggio di uomini e mezzi tra i due paesi, sia per i pellegrinaggi religiosi che per le operazioni militari. Teheran è un alleato prezioso del regime nella guerra che dura ormai da 10 anni, nelle zone controllate da Damasco operano diverse milizie che fanno capo all'Iran e alle forze Quds, l’unità dei Pasdaran che si occupa delle operazioni all’estero e che fino al 3 gennaio era diretta dal generale Qassem Soleimani.

Gabirella Colarusso e Pietro Del Re

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