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venerdì 8 febbraio 2013

Italia - Presidente Napolitano interroga il mondo politico sull'insostenibile condizione delle carceri.


Fonte: Sole24Ore
Lanciare il tema del carcere nel pieno della campagna elettorale, come ha fatto Giorgio Napolitano, è una bella sfida per misurare la volontà politica di non cavalcare l’imperante demagogia e di assumersi la responsabilità di scelte riformatrici strutturali, anche se impopolari.
Il presidente della Repubblica, in visita al carcere milanese di San Vittore, ricorda che “sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia” e ciò impone un “impegno inderogabile delle forze politiche” ma anche dei “cittadini elettori” proprio nel momento in cui si andrà ad eleggere il nuovo Parlamento.
L’amnistia? Se ci fosse stato il consenso parlamentare necessario “avrei firmato non una, ma dieci volte” confessa il Capo dello Stato, promettendo che quando tornerà ad essere un semplice senatore il suo impegno continuerà, “nei limiti delle mie forze, finché avrò un po’ di energia”. Intanto, però, “nessuno può negare - ha detto - la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria” e, senza voler interferire sulle future linee di politica penale e penitenziaria, ha ricordato che già esistono importanti proposte di misure strutturali, come quelle contenute nella relazione dello scorso novembre della Commissione mista Csm - Ministero - Magistratura di sorveglianza.
Con l’eccezione della Lega, l’ipotesi di un’amnistia non viene esclusa da quasi nessuna delle coalizioni in campo (ferme restando le differenze sull’ampiezza del provvedimento di clemenza) per decongestionare le patrie galere (e i Tribunali). Il rischio, però, è che l’amnistia metta in secondo piano le riforme “strutturali” necessarie a voltare pagina, che ci ha chiesto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo con la recente sentenza di condanna dell’Italia per trattamenti inumani e degradanti. Di qui l’importanza dell’indicazione - di metodo e di merito - di Napolitano. Se il futuro governo volesse, potrebbe anche adottare un decreto legge perché i presupposti di necessità e di urgenza ci sono, e potrebbe avvalersi subito del contributo del Csm - Ministero.
Non è la prima volta che il presidente della Repubblica denuncia l’insostenibilità delle condizioni in cui vivono i detenuti, peraltro non da oggi visto già nel 2008, con l’allora governo Berlusconi, il carcere fu formalmente definito “un’emergenza nazionale”. Appelli rimasti inascoltati, anche quando ha sollecitato scelte più marcate nella direzione delle misure alternative alla detenzione. Il ddl del governo, infatti, dopo il voto della Camera si è arenato al Senato: non avrebbe risolto il problema del sovraffollamento (al Dap hanno calcolato che sarebbero uscite 350 - 400 persone) ma avrebbe comunque indicato una strada da continuare a seguire. Cominciano invece a farsi sentire gli effetti della legge salva - carceri (che però è una legge a tempo perché scade a fine 2013) visto che in due anni 9.386 detenuti hanno finito di scontare la pena ai domiciliari (di questi, 2.627 sono stranieri). La stessa legge ha contribuito a ridurre sensibilmente gli ingressi in carcere di brevissima durata, limitando il cosiddetto fenomeno delle “porte girevoli”.
I numeri, però, restano drammatici. I detenuti sono circa 66mila, 22mila in più rispetto ai posti disponibili e il tasso di affollamento dell’Italia resta il più alto d’Europa. Secondo i dati del Dap, al 31 gennaio 2013 c’erano 25.520 persone in custodia cautelare: il 19% in attesa di primo giudizio, e circa il 20% in attesa della sentenza della Corte d’appello e della Cassazione. Gli stranieri erano 23.473 (il 50% dei quali in custodia cautelare) mentre il 37% della popolazione carceraria ha violato la legge sulle droghe. Nelle patrie galere, il 60% dei presenti è pluri - recidivo e il 50% (268.459) ha tra una e quattro carcerazioni precedenti a quella per cui è attualmente in cella. Ben 350 detenuti hanno più di 15 carcerazioni alle spalle, 1.394 tra 10 e Un decreto legge che “salvi” le carceriÈ in gioco “l’onore dell’Italia” ammonisce Giorgio Napolitano in visita al carcere milanese di San Vittore. Sotto il peso della sua responsabilità, il presidente della Repubblica torna a chiedere un cambio di passo nella politica penale e penitenziaria per superare la violazione dei diritti fondamentali che si consuma nelle patrie galere.
Il filosofo Ronald Dworkin ricordava che “la violazione dei diritti umani produce un danno incalcolabile” perché “mortifica l’orgoglio, l’onore di una nazione”. Tanto dovrebbe bastare a non farci girare la faccia dall’altra parte quando si parla delle “insostenibili condizioni” in cui vivono oggi 66mila detenuti.
Il danno è alla credibilità del nostro Paese (quanti punti di spread vale?) ma anche alla sua tenuta democratica, perché è solo colmando lo scarto purtroppo esistente tra i valori fondanti dello Stato e il “sentire comune” che cresce e si rafforza una democrazia.
Bisogna tornare alla Costituzione, alla costruzione di un carcere sensato, fabbrica di libertà e non di delinquenti (il carcere chiuso produce il 70% dei recidivi, le misure alternative il 30%), dove i detenuti, nel rispetto della loro dignità, espiano la pena in funzione del reinserimento sociale. L’amnistia non è un tabù ma può essere una toppa senza riforme come depenalizzazione, decarcerizzazione, misure alternative, che ci chiede anche la Corte dei diritti dell’uomo. Piuttosto, poiché “nessuno può negare la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria”, il futuro governo metta subito in agenda un decreto legge. Non siamo all’anno zero: ci sono fior di progetti “strutturali” sul carcere, che aspettano solo un governo disposto a riscattare l’onore dell’Italia.

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