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giovedì 1 giugno 2017

Da emergenza a penosa normalità - Un’inchiesta sui campi profughi nel mondo

Osservatore Romano
Leggendo l’ultimo numero di «Le Monde diplomatique» dedicato al problema dei campi profughi si ha la sensazione di essere di fronte a uno storico rovesciamento del rapporto tra stato e individuo che ha caratterizzato la formazione dello stato moderno, per cui i diritti umani sono diventati l’essenza stessa dei diritti, non solo i diritti dell’uomo in quanto cittadino. 
Giordania - Il campo profughi di Zaatari a 10 Km dal confine
della Siria dove sono presenti 655 mila rifugiati
Oggi però è sempre più evidente che l’insieme dei diritti che costituiscono il patrimonio d’ogni persona è legato alla loro appartenenza ai singoli stati piuttosto che al sistema internazionale, perdendo quindi il prezioso valore della loro universalità.

Ci sono infatti nel mondo luoghi senza acqua corrente, dove le tende sono attaccate una all’altra e i materassi per terra, oppure vecchi stabilimenti industriali trasformati in fretta e furia in campi per ospitare i profughi, dove le tutele individuali lasciano il posto alle logiche di sicurezza di un nuovo ordine mondiale. 

Qui i migranti diventano non-persone, costretti a vivere per anni in un limbo giuridico, dove la parola utente prende il sopravvento su qualsiasi altra definizione, rinchiusi in un non-spazio: i campi, anche se esistenti da decenni — alcuni da quasi mezzo secolo! — non sono segnati sulle carte geografiche.

Nicolas Autheman, giornalista e documentarista francese, racconta: «Resti fermo, avvicini il suo occhio. Grazie per la sua collaborazione». La voce metallica proviene da un apparecchio che si trova all’interno di un supermercato nell’enorme campo di Zaatari, in Giordania. Ogni rifugiato siriano ha un budget di 50 dollari al mese per pagare i propri pasti con la scansione dell’iride che archivia digitalmente l’identità del rifugiato e il saldo del conto virtuale, accreditato in una banca locale. Un sistema creato dall’azienda Iris Guard nelle carceri degli Stati Uniti e poi venduto a circa il 20 per cento dei campi in funzionamento nel mondo.

Secondo il giornalista, una logica del profitto imprenditoriale accentua sempre di più l’attuale tendenza mondiale al processo di marginalizzazione giuridica e territoriale delle persone che transitano nei più di mille campi per rifugiati oggi esistenti. Tre gli aspetti comuni a tutti: l’extraterritorialità, l’eccezionalità giuridica, in quanto gestiti da leggi che non coincidono con quelle del paese di accoglienza, e l’esclusione dei migranti più poveri. Ora il rischio è quello di trasformare la prima accoglienza in una sistemazione quasi definitiva, contribuendo così a perpetuare la loro tragica condizione di persone private della dignità.

Non vi è accesso alle procedure di riconoscimento alla protezione internazionale, niente strumenti per il ricongiungimento familiare: nell’intero sistema, che coinvolge ormai 65 milioni di rifugiati, si entra in un limbo dove vengono sistematicamente aggirati sia i diritti umani che le leggi nazionali del paese che accoglie. 

Di fatto, questa situazione viola la Convenzione di Ginevra del 1951, che prevede tra l’altro l’immediata garanzia di protezione a coloro che fuggono dai loro paesi e che sono esposti a rischi e trattamenti inumani e degradanti.

Ai problemi cronici di ogni campo — dalla violenza al sovraffollamento, alle malattie endemiche — si aggiunge la preoccupazione per la mancanza di scuole. L’emergenza istruzione riguarda un campo su due di quelli attualmente in funzionamento nei diversi paesi del mondo, con danni irreparabili sulle nuove generazioni. Nelle pagine dedicate ai migranti da «Le Monde diplomatique», tra un dato e l’altro, si racconta anche il cambiamento nel modello di gestione dei centri e l’introduzione di una sorta di economia interna di mercato.

Siamo di fronte a una confusione di lingue e interessi — afferma Autheman — ma bisogna avere il coraggio di affrontare la questione nelle sue vere radici, nella sua cruda realtà, complessa e drammatica, che presenta aspetti epocali. L’Europa ha ricevuto nel 2016 tre volte meno migranti che nel 2015, e questo non perché stia calando il flusso dei profughi, ma perché si sono aperti altri campi e ampliati quelli esistenti. Ma il problema si è solo spostato, creando un altro drammatico caso di emergenza che sta diventando una normalità, indegna ma sotto controllo.

di Silvina Pérez

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