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mercoledì 29 gennaio 2014

Immigrati, nuovi schiavi dei Paesi del Golfo: appello di Human rights watch

NanoPress
I lavoratori immigrati sono i nuovi schiavi su cui negli ultimi 30 anni è stata costruita la ricchezza dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati arabi uniti, Kuwait, Oman e Qatar). Grazie alla manodopera sottopagata e grazie all'assenza di diritti, i datori di lavoro possono reclutare gente nuova e giovane sottopagandola e sfruttandola. La necessità di cambiamento parte dalla Kafala, una sorta di reclutamento.

LA KAFALA E LA SCHIAVITU'
I nuovi schiavi sono legati al proprio datore di lavoro dalla Kafala (garanzia), un sistema di reclutamento che sembra in tutto e per tutto l'acquisizione di uno schiavo: un ufficio di collocamento nel paese d'origine trova un datore di lavoro disposto a sponsorizzare il lavoratore immigrato, che da quel momento non può cambiare posto di lavoro per tutta la durata del contratto.

DONNE SENZA DIRITTI
Secondo Human Rights Watch, la maggior parte delle donne lavoratrici è impiegata presso le famiglie locali: con un generico "collaboratrice domestica" si intende colei che dovrà cucinare, pulire la casa e spesso crescere i figli della famiglia presso cui lavora, ricevendo in cambio vitto, alloggio e uno stipendio sufficiente per mantenere una famiglia nel paese d'origine. In realtà le donne subiscono il sequestro del passaporto all'arrivo, l'impossibilità di cambiare lavoro senza il consenso del datore di lavoro, orari impossibili e nessun riposo settimanale. Il tutto per paghe da fame, spesso trattenute dal padrone a tempo indeterminato, nelle nazioni che vantano alcuni tra i Pil più alti del mondo.

VIOLENZE E SUICIDI
Numerose sono le violenze ai danni delle domestiche: picchiate dalla padrona, violentate dal padrone, costrette a dormire nei sottoscala, nei garage o nelle cantine. Costrette a subire ogni tipo di violenza, dalle percosse alle bruciature di sigaretta, dall'olio bollente versato sul corpo alle amputazioni. Spesso le vittime di violenze impazziscono fino a togliersi la vita. Il suicidio di una donna nepalese, vittima di abusi sessuali in Kuwait, ha provocato il divieto, da parte delle autorità di Kathmandu, di emigrazione nei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo per tutte le sue cittadine dal 1998 al 2010. Le domestiche immigrate che osano ribellarsi incappano in un destino che può andare dallo stupro, al carcere e persino alla decapitazione.

RISCRIVERE LA KAFALA
Durante la giornata internazionale dei migranti, lo scorso 18 dicembre, Human rights watch ha chiesto all'Associazione per la cooperazione regionale del sud-est asiatico (Saarc) di fare pressione sui propri governi per costringere i paesi del Ccg a rispettare i diritti e la dignità dei lavoratori migranti: dalla discriminazione all'impossibilità di formare un sindacato di categoria, dagli orari di lavoro agli abusi subiti. Tutto deve essere riscritto, a cominciare dalla Kafala che, si legge nel comunicato di Human Rights Watch, "deve essere riformata per permettere ai lavoratori di cambiare impiego o rientrare nei propri paesi anche senza il permesso del datore di lavoro". "I paesi del Golfo - ha dichiarato Brad Adams, responsabile dell'organizzazione per l'Asia - dovrebbe riconoscere il ruolo cruciale dei lavoratori migranti nelle loro economie e adottare delle misure perché i loro diritti vengano pienamente garantiti".

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