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venerdì 8 marzo 2013

Iraq: inchiesta del “Guardian” sui centri detentivi… torture sistematiche verso i detenuti

Corriere della Sera

“Allah, Allah”, ma non erano grida di estasi religiosa, bensì urla di terrore e di panico: così il reporter Peter Maas inizia il suo crudo resoconto di quanto avveniva nei centri di detenzione irachena sotto responsabilità americana. L’inchiesta del Guardian e della Bbc araba rischia ora di far esplodere una bomba: il Pentagono chiamò in Iraq due colonnelli in pensione a sedare la rivolta sunnita e questi ultimi gestirono le unità con metodi molto discutibili, come dimostra l’esistenza di veri e propri centri di tortura per ottenere informazioni dai prigionieri.
Veterano delle guerre sporche.
Così il Guardian definisce il colonnello James Steele, cinquantottenne ex membro delle forze speciali in America Centrale (El Salvador e Nicaragua), chiamato dall’ex Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld a gestire il corpo paramilitare del Pentagono nel tentativo di placare l’insurrezione sunnita insieme alla forze collaborazioniste irachene.
Oltre a Steele c’era poi anche il Colonnello James H. Coffman, che riportava direttamente al Generale David Petraeus, ex direttore della Cia costretto alle dimissioni dopo il noto scandalo sessuale, inviato in Iraq nel giugno del 2004 per organizzare e addestrare le nuove forze di sicurezza irachene e ora definito dalla stampa estera come “collegato allo scandalo delle torture”, in quanto responsabile del monitoraggio dei centri di detenzione.
I fatti emersi si rivelano decisamente scomodi per la reputazione a stelle e strisce e la responsabilità dei funzionari statunitensi nella vicenda è chiara, gravissima e crea un triste precedente per l’America. L’opinione pubblica irachena chiese di interrompere lo show televisivo “Terrorismo nelle mani della giustizia” quando iniziarono a emergere le prime inquietanti testimonianze. Da lì gradatamente iniziò a venire a galla uno scandalo che coinvolge le truppe irachene e americane.
Emerge dunque l’esistenza di veri e propri centri di tortura, dove i colonnelli e i loro adepti delle unità di commando sapevano far parlare i nemici con metodi molto convincenti. Come al solito lo scandalo esplode in maniera dirompente e poco dopo si scopre che tutti (o comunque troppi) sapevano tutto. Compreso probabilmente Petraeus, del quale Coffman si definiva “gli occhi e le orecchie sul terreno iracheno”.
“Lavoravano mano nella mano - così parla dei due militari il Generale Muntadher al-Samari, che ha collaborato a sua volta con Steele e Coffman per un anno, alla nascita della forza paramilitare -. Li vedevo nei centri di tortura, sempre rigorosamente insieme, e loro erano al corrente di ogni minima cosa succedesse al loro interno e di tutte le torture, le più terribili”. Certo non vi è alcuna prova che gli stessi Steele e Coffman torturassero i prigionieri, ma è risaputo che erano spesso presenti e che i metodi erano crudeli: i detenuti venivano appesi a testa in giù per ore, venivano utilizzate scosse elettriche o ancora venivano loro strappate le unghie.
Ogni metodo di tortura è stato usato, sotto lo sguardo complice dei due veterani e di molti altri occhi e orecchie complici. L’inchiesta è stata innescata dalla diffusione su Wikileaks di alcuni documenti Usa che rivelavano le testimonianze di molti soldati americani imbattutisi in detenuti torturati e abusati. E ora si scopre anche che i metodi di tortura nei centri detentivi erano assolutamente routine, come specifica ancora Samari, parlando di un ragazzino appena quattordicenne “legato alla colonna di una libreria, a testa in giù, con il corpo livido a causa delle frustate”.
Violazioni dei diritti umani gravissime. Questa dunque l’accusa a carico delle forze speciali. E il Pentagono sapeva o quantomeno poteva immaginare. Né Coffman né Steele hanno commentato l’inchiesta del Guardian e in passato James Steele aveva pubblicamente condannato ogni abuso o tortura, definendoli metodi incivili. Un portavoce di Petraeus ha riferito invece che l’ex generale “era al corrente dei sospetti a carico delle forze speciali irachene, ma ha sempre condiviso con i vertici ogni informazione”. Le accuse a questo punto non riguardano solo le pesantissime violazioni ai diritti umani, ma anche un’indiretta responsabilità nei confronti della sanguinosa guerra civile, certamente alimentata da questa strategia del terrore. Tremila sono stati i morti registrati ogni mese e quei morti pesano evidentemente sulla coscienza di molti. O così dovrebbe essere.

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