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lunedì 27 aprile 2020

Turchia - Erdoğan svuota le carceri per il covid-19 liberando 90.000 detenuti, ma lascia dentro oppositori politici e giornalisti

Linkiesta
Con una contestata riforma giudiziaria, il Parlamento turco metterà in libertà circa 90mila detenuti, ma non gli intellettuali e i politici critici col governo, incarcerati con l’accusa di vicinanza a organizzazioni terroristiche.


Una controversa riforma, votata d’emergenza per svuotare le carceri sovraffollate: è questo, in Turchia, uno degli effetti della crisi provocata dalla pandemia di coronavirus. Poco dopo la morte per Covid di 3 detenuti su un totale di 17 contagiati – registrata lo scorso 13 aprile – il parlamento di Ankara ha approvato un nuovo regolamento sull’esecuzione penale, proposto dal partito di governo AKP del presidente Erdoğan, che permette a circa 90mila carcerati di uscire di prigione prima dei termini di condanna.

Di questa riduzione possono beneficiare i detenuti che abbiano già scontato almeno metà della pena, mentre chi verrà condannato per reati commessi entro il 30 marzo non finirà in carcere, ma sarà costretto alla libertà vigilata. Non tutti i carcerati possono però avvalersi degli sconti di pena: la riforma esclude infatti i prigionieri in attesa di giudizio e quelli condannati per reati relativi a traffico di droga, omicidi premeditati, abusi sessuali e violenza su donne e bambini.

Resta in carcere anche chi è stato condannato per reati relativi al terrorismo, ed è su questo punto che le critiche dei partiti di opposizione e delle associazioni per i diritti umani si sono concentrate.

Se il provvedimento allevia indubbiamente il dramma del sovraffollamento nelle carceri in Turchia – dove prima delle legge erano recluse quasi 300mila persone in strutture con una capienza nettamente inferiore – la riforma ha ricevuto numerose critiche ed è stata approvata, il 14 aprile, dopo una dura battaglia parlamentare.

Le formazioni politiche contrarie, come anche molte associazioni di avvocati, contestano il fatto che l’ampia definizione di “reati per terrorismo” costringerà a restare in prigione anche molti giornalisti, intellettuali e politici critici del governo che negli ultimi quattro anni sono stati incarcerati con l’accusa di vicinanza ad organizzazioni terroristiche.

Si tratta di qualche centinaio di persone, tra cui spiccano nomi noti anche a livello internazionale come quello dello scrittore e giornalista Ahmet Altan, dell’uomo d’affari impegnato politicamente a favore delle minoranze Osman Kavala e dell’ex co-presidente del partito filo curdo HDP – il “Partito Democratico dei Popoli”, la terza forza politica più rappresentata nel Parlamento turco – Selahattin Demirtaş.

Secondo i critici, queste persone sono in realtà in prigione a causa di opinioni politiche critiche nei confronti di Erdoğan e non per i reati di terrorismo per cui sono stati condannati. Sarà questa una delle motivazioni che il socialdemocratico Partito Repubblicano del Popolo (CHP), principale partito di opposizione, porterà nei prossimi giorni davanti alla Corte Costituzionale nel presentare ricorso contro la riforma.

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