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giovedì 19 settembre 2019

Migranti - Tra i disperati di Lesbo, in coda per un uovo e un futuro in Europa

La Repubblica
È accanto alle latrine che si snoda la coda per il cibo, sulla collina dov'è stato allestito il campo profughi di Moria, che coni suoi diecimila ospiti è il più affollato e malconcio d'Europa. "Due ore d'attesa per un uovo, un pomodoro e una patata bollita", si lamenta Mohamed, 32 anni, afgano di Herat, sbarcato la notte scorsa assieme a 194 persone dalle coste turche, che dalle spiagge di Lesbo distano meno di tre miglia marine.


"Mi hanno registrato, messo una coperta in mano e detto che per me al campo non c'è posto e che devo arrangiarmi come posso". Come lui, dall'inizio dell'anno sono già arrivati 40mila disperati, la maggior parte dall'Afghanistan e dalla Siria, gli altri dall'Iraq, dal Congo e dalla Striscia di Gaza.


"Ogni giorno, sulla nostra isola approda una mezza dozzina di barconi ed è soltanto l'inizio di una nuova catastrofe migratoria", dice Giannis Balpakakis, che la settimana scorsa per protestare contro il sovraffollamento e le pessime condizioni igieniche di Moria s'è dimesso da direttore del campo. È vero, la struttura è colma fino all'inverosimile: prevista per tremila persone ne ospita adesso diecimila, con quattro famiglie per container, la cui privacy è assicurata soltanto da un telo divisorio.

Tutto ciò per colpa della nuova politica migratoria del presidente Recep Tayyip Erdogan, che da qualche mese ha reso più poroso il confine turco: da un lato, perché in questo modo spera di sollecitare il saldo dei 6 miliardi promessi dall'Europa nell'accordo del 2016, dei quali gliene sono stati versati un po' più della metà; dall'altro per evocare la possibile sciagura che comporterebbe l'evacuazione degli oltre due milioni di rifugiati ammassati nella regione siriana di Idlib, che è ancora nelle mani delle rivolta e che dallo scorso aprile è pesantemente bombardata dall'aviazione di Mosca e del regime di Damasco.

Eppure, tornata a essere il principale punto di arrivo dell'immigrazione illegale nell'Unione europea, superando Spagna e Italia, la Grecia è totalmente inadeguata ad affrontare una futura, massiccia crisi migratoria. Basti dire che Atene ha mobilitato due soli medici per i diecimila ospiti di Moria, dove si registra una doccia per 440 persone e una latrina per 83.

Per fortuna, a Lesbo sono accorse anche le organizzazioni non governative, prima tra tutte Medici senza frontiere che ha aperto una clinica pediatrica fuori dal campo e una di salute mentale a pochi chilometri da li, al porto di Mitilene. L'altro dato agghiacciante è che questa nuova massa di migranti è composta per il 43% da bambini, che qui vengono morsi da scorpioni, serpenti e topi, che giocano tra escrementi umani e che patiscono la fame.

Negli ultimi due mesi, quasi un centinaio è stato indirizzato verso la clinica di Msf: tre di loro avevano tentato il suicidio, e diciassette avevano compiuto gesti di autolesionismo, ferendosi con dei coltelli o strappandosi con violenza ciocche di capelli. "Sono sempre più numerosi i bambini che smettono di giocare, che hanno incubi, che hanno paura di uscire dalle loro tende e che iniziano a isolarsi dalla vita. Alcuni di loro smettono di parlare.

Con il costante aumento di sovraffollamento, violenze e insicurezza nel campo, la loro situazione peggiora di giorno in giorno. Per prevenire danni permanenti, devono essere immediatamente portati via da Moria", ci spiega Tommaso Santo, capomissione dell'organizzazione umanitaria in Grecia. Intanto, l'afgano Mohamed ha finalmente trovato un angolo dove pernottare, a pochi metri dalla recinzione del campo di Moria, in quello che chiamano il "giardino degli ulivi" o anche, usando un toponimo già tristemente noto sulle coste della Manica, la "giungla".

Al momento, sono già duemila le persone che vi hanno trovato rifugio, accampate alla meglio, senza alcuna protezione e usufruendo delle poche e malandate strutture predisposte per gli ospiti di Moria. "C'è chi sta molto peggio di lui. Qui, fuori dal campo ufficiale, giace in una tenda senza materasso una donna all'ottavo mese di gravidanza. Poco lontano, nelle sue stesse condizioni c'è un malato di cancro", dice Maurizio Debanne, operatore di Msf che ci fa da guida in quest'inferno.

"C'è poi una bimba afgana con una brutta ferita di guerra a una gamba che viene a farsi curare nella nostra clinica e che invano, da settimane, aspetta di essere evacuata sul continente o verso altri Paesi europei". Tutto ciò avviene a pochi passi dalle splendide spiagge e dagli affollati locali di Lesbo dove ancora si divertono i molti villeggianti, per lo più nordeuropei, che riempiono gli hotel dell'isola.

"Siamo ancora in piena stagione turistica, ma l'inverno è diverso: può anche nevicare e l'isola è spazzata da venti gelidi, il che in passato ha provocato vittime a Moria. Non oso immaginare quello che accadrà quest'anno tra le tende della "giungla"", dice ancora Debanne. Fatto sta che quattro anni dopo la più grande crisi migratoria dei tempi moderni, c'è il rischio che la storia si ripeta. I migranti possono liberamente circolare per tutta Lesbo, ma sono prigionieri sull'isola.

Molti di loro aspettano da più di un anno la decisione delle autorità greche e nell'attesa sono l'angoscia, l'inattività e la promiscuità a minare la loro salute mentale, soprattutto per chi fugge la guerra, la tortura o la miseria. Mohamed sembra consapevole del destino che l'aspetta. "Ma adesso sono troppo stanco per pensarci", dice, infilando la testa sotto la coperta.

Pietro Del Re


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