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venerdì 27 giugno 2014

Egitto, 183 Fratelli mussulmani condannati alla pena di morte per i disordini dell'agosto scorso

Italia 24 News
Ieri è arrivata la sentenza del processo d’appello per i sanguinosi disordini dello scorso agosto a Minya, nel sud dell’Egitto, che portarono all’uccisione del vice comandante di una stazione di polizia dopo lo sgombero del sit-in di Rabaa el Adaweya del Cairo. Sono state 183, sulle 500 richieste, le condanne a morte, compresa quella della guida spirituale dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie (foto).
Mohamed Badie
Un anno fa l’Egitto ha vissuto un’estate davvero infuocata, fatta di scontri e guerriglia, durante i quali hanno perso la vita centinaia di persone. Le tensioni avevano portato alla deposizione di Mohamed Morsi, il presidente espressione dei radicali islamici. Questi ultimi si dichiarano apertamente contro il governo del presidente Abdul Fatah al Sisi, l’ex generale che ha giurato loro guerra aperta.

In merito alla sentenza, anche stavolta il verdetto dovrà passare per la ratifica, non vincolante del Gran Muftì, il più alto rappresentante della legge islamica sunnita.

Giorni difficili in Egitto, dunque, dove ai militari, e a una magistratura da sempre influenzata dai governi in carica, ha affidato il compito di respingere l’avanzata dei radicali.

A Washington, intanto, si cerca di capire quale posizione assumere. Sono diverse le organizzazioni per i diritti umani che chiedono l’annullamento della sentenza. «Le condanne a morte confermate da un tribunale egiziano vanno annullate», chiede per esempio Hassiba Hadj Sahraui, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. E aggiunge: «L’Egitto ha fatto un enorme passo indietro in tema di diritti umani», definendo l’uso della pena capitale come un mezzo «per eliminare gli avversari politici».
Gaia Albini 

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