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mercoledì 30 dicembre 2020

Giappone - Iwao Hakamada - 84 anni, da 50 anni nel braccio della morte - Il nuovo processo che lo potrebbe scagionare

Corriere della Sera
Da 50 anni nel braccio della morte: nuovo processo (e speranze) per Iwao Hakamada
L’ex pugile, oggi 84 anni, è stato condannato nel 1968 per avere ucciso la famiglia del suo capo. Ha sempre parlato di «confessione estorta» e oggi potrebbe essere scagionato.

Iwao Hakamada - 84 anni

Il suo caso ha fatto il giro del mondo quando, nel 2011, è entrato nel Guinness dei Primati: Iwao Hakamada, ex pugile giapponese condannato a morte per avere ucciso il suo capo e la sua famiglia, è in attesa di essere giustiziato dal 1968. Oggi ha 84 anni, e una sentenza della Corte Suprema potrebbe riaprirne il processo, dopo più di mezza vita passata in carcere.

Quando nel 1966 il capo di Hakamada, la moglie e i loro due figli erano stati trovati accoltellati a morte nella loro casa poi incendiata a Shizuoka, nel Giappone centrale, fu lui il primo sospettato. Unico indizio, tracce di benzina e sangue su un suo pigiama. Iwao Hakamada, ex pugile allora già ritiratosi dallo sport, e operaio in una fabbrica di miso, fu accusato di incendio doloso, rapina e omicidio plurimo. Ammise tutto in una confessione che poi definì sempre «estorta» con botte e minaccedalla polizia. Già nella fase istruttoria del processo, ritrattò la confessione. I giudici non gli credettero, e lo condannarono a morte.

Dal 1980 al 2014, i legali di Hakamada e varie campagne di Amnesty International e di associazioni di pugilato di tutto il mondo hanno chiesto in ogni modo che il processo fosse riaperto; solo nel 2014, al compimento del suo 78esimo anno, il tribunale di Shizuoka ne ha disposto la scarcerazione «in ragione della sua fragilità mentale e fisica» e ha disposto di istruire un nuovo processo, con nuove prove a disposizione che l’avrebbero scagionato
Ma nel 2018 l’Alta Corte di Tokyo ha annullato la riapertura del processo. I suoi legali allora hanno fatto appello alla Corte Suprema, per paura che l’ex pugile dovesse tornare nel braccio della morte; la Corte Suprema, giovedì, ha rovesciato la pronuncia dell’Alta Corte, consentendo la riapertura del processo.

Hakamada, che per anni si è detto ingiustamente recluso e che ha atteso per mezzo secolo l’impiccagione, nelle lettere al figlio ha sempre scritto «tornerò da te avendo provato la mia innocenza». Nel frattempo però in carcere ha sviluppato pesanti disturbi psichici; la sorella, che si prende cura di lui dal 2014 , riporta «lievi miglioramenti», ma è difficile che possa mai tornare completamente lucido.

In Giappone la pena di morte è comminata solo agli omicidi plurimi. A differenza che negli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono programmate con anticipo, i condannati in Giappone vengono a sapere la data e l’ora dell’impiccagione (unico metodo in vigore) con poche ore di preavviso. E anche se l’esecuzione dovrebbe avvenire a non più di sei mesi dalla sentenza, non sono rari i casi in cui i condannati aspettano anche per anni. Speculare a quello di Hakamada è stato, ad esempio, il caso di Masaru Honikishi, condannato nel 1961 per aver servito vino adulterato a cinque donne, che poi morirono: dopo una confessione estorta fu incarcerato poco dopo nella prigione di Nagoya, da dove uscì nel 2015 malato in modo ormai irreversibile, per essere ricoverato in ospedale. Morì pochi giorni dopo.

Irene Soave

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