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lunedì 3 agosto 2020

Daniela Pompei (Sant'Egidio): «Basta gridare all’invasione, gli attuali flussi sono gestibili» Ad oggi, nel 2020, sono arrivati 13mila migranti nel 2016 furono 181mila, sono stati gestiti e accolti

Avvenire
«Non c’è nessuna invasione» visto che nel 2016 in Italia sbarcò il decuplo dei migranti di oggi, «e comunque furono gestiti».


Piuttosto, serve cooperazione in Tunisia per rilanciarne l'economia in crisi che spinge la gente a fuggire. In Libia invece servono evacuazioni umanitarie concordate con i partner europei. Ridiscutendo il sostegno italiano a milizie che, invece di salvare i naufraghi, li mitragliano. 

Daniela Pompei, responsabile del settore migrazioni della Comunità di Sant'Egidio, tra i promotori dei corridoi umanitari, ragiona delle ultime notizie sull'immigrazione da uno dei fronti più caldi di "Fortezza Europa”, Lesbo. 

Nell'isola greca a 12 miglia dalla costa turca Sant'Egidio da tempo organizza l'accoglienza e l'integrazione dei profughi. Siriani e non solo. «Qui a Mitilene vivono 23mila greci. Il vicino campo di Moria ora ospita 15mila profughi. Ma a gennaio erano 22mila. A onor del vero l'Italia nonostante tutto non registra queste situazioni». 

Di fronte alla crescita di approdi a Lampedusa c'è chi parla di emergenza, invasione, perfino di "furia immigrazionista" del governo. 

Facciamo chiarezza: l'attuale andamento degli sbarchi va ridimensionato e non deve suscitare preoccupazione eccessiva o innescare allarmismi che fanno gridare all'invasione". È normale che d'estate aumentino le traversate, rallentate anche dal Covid-19. 
Ma parliamo di numeri assolutamente gestibili. Da gennaio a luglio il Viminale dice che sono arrivate 13mila persone, nel 2019 erano state 18mila. Ricordo che nel 2015 arrivarono 144mila persone, l'anno dopo 181mila. E comunque l'Italia seppe accoglierli. Per favore, chi parla di invasione oggi non sa quello che dice. 

L'Italia quindi può gestire i numeri attuali? 
Sì, e lo ha già fatto in maniera importante negli anni scorsi. È vero che nel 2019 abbiamo assistito allo smantellamento del sistema di accoglienza. Ora va registrato con favore l'accordo nella maggioranza per la revisione dei cosiddetti decreti sicurezza, che avevano ridotto i diritti, danneggiato le modalità di integrazione creando di fatto le premesse per una crescita dell'insicurezza

Il Viminale ora dice che si volta pagina. Bene, ora va riattivato il sistema dei centri di accoglienza e delle strutture del Siproimi, che già oggi danno ospitalità temporanea a 85mila persone. Non ci vorrà un grande sforzo per aumentare i posti. 

Visto il rischio diffuso del Covid-19, servono interventi specifici, usando alcuni hotel per i controlli e le eventuali quarantene. Lo ha fatto ad esempio la Regione Lazio per persone senza dimora o che abitavano in case molto affollate. Molti alberghi sono vuoti. Lo Stato potrebbe attrezzarli per questa accoglienza, così sostenendoli. Bisogna però andare alle radici del problema. 

È chiaro che i tunisini sono in gran parte migranti economici, non fuggono da una guerra o da una dittatura. Erano emigranti in Libia, ma la guerra ha costretti tantissimi lavoratori tunisini a tornare in patria. C'è una terribile crisi economica. Allora sarebbe saggio e nell'interesse dell'Italia sostenere programmi di cooperazione, per evitare viaggi rischiosi e dal futuro incerto. Questo non ci esime dall'affrontare il nodo della Libia. 

È una instabilità che si sta cronicizzando. 
L'Italia non può affrontare da sola l'emergenza della guerra civile. Ma potrebbe fare da capofila in un'alleanza di Paesi europei. Innanzitutto per attuare un'evacuazione umanitaria dai centri di detenzione libici. Si tratta di alcune migliaia di persone, numeri assolutamente gestibili orchestrando una distribuzione europea come è stato già fatto per altri sbarchi tra "Paesi volenterosi". 

Tre giovani profughi sudanesi riportati in Libia sono stati ammazzati dalla "guardia costiera" libica mentre fuggivano. Eppure l'Italia ha da tempo rinnovato l'intesa con la Libia. 
È un accordo che va profondamente ripensato. La formazione delle forze dell'ordine libiche si può fare, ma seriamente. Insegnando ad esempio che non si spara a chi scappa. L'Italia lo aveva fatto, e bene, in Albania con l’"Operazione Pellicano".


Luca Liverani

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