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giovedì 6 novembre 2014

Carcere: non solo sovraffollamento... i detenuti fanno anche la fame. Lo Stato spende 3.90 € al giorno per ogni detenuto

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Non soltanto sovraffollamento, celle fatiscenti e condizioni igienico-sanitarie pessime. I detenuti italiani sono costretti a fronteggiare un altro problema non da poco: il cibo. O meglio, la fame. Già, proprio così. La spesa fissata dallo Stato per far mangiare un "galeotto" è di soli 3,90 euro al giorno. Nemmeno due euro per il pranzo e nemmeno due euro per la cena.
Poco, pochissimo. Chi è che riesce a sfamarsi con soltanto così poco denaro a disposizione? Nessuno, tranne i carcerati che sono costretti a farlo. A rivelarlo è un'inchiesta dell'Espresso, pubblicata dopo aver consultato il dossier della Corte dei Conti sui contratti segregati. "Anche gli appalti per il cibo dei detenuti sono top secret e quindi seguono procedure diverse rispetto alle gare pubbliche", scrive il settimanale.

Non solo, leggendo si scopre un altro fatto, più o meno scandaloso. Sicuramente singolare. L'alimentazione dei carcerati costerà 390 milioni in quattro anni. Peccato però che gli appalti non tengano conto né della diminuzione dei reclusi che, anche se lentamente, si sta verificando ultimamente, né di alcune sezioni delle carceri chiuse, ma calcolate come "pasto". Tradotte in numeri? Nel secondo semestre del 2013 sono stati 12 milioni di giorni/presenza che equivalgono a circa 65 mila detenuti da sfamare.

Lo stesso accadrà per i prossimi 4 anni, fino al 2017 (gli appalti sono quadriennali). E non importa che oggi, in cella, ci siano "solamente" 54 mila persone (anche se i posti sarebbero per 49 mila, tanto per accennare il sovraffollamento). Lecito, dunque, domandarsi dove vadano a finire i soldi dei pasti già pagati dallo Stato per i detenuti che non sono più reclusi in galera.

La risposta non c'è, rimane top secret. "La Corte dei Conti afferma che i Provveditorati, da cui dipendono gli istituti di pena di una regione, possono stipulare uno o più contratti successivi, nell'ambito dei quattro anni, tenendo conto delle variazioni della popolazione carceraria", scrive ancora l'Espresso. Non resta che augurarsi che lo facciamo davvero.

di Paolo Signorelli

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