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giovedì 16 giugno 2016

Venezuela: "chi protesta per la fame finisce in cella"

Avvenire
L'avvocato Sajú: ci sono almeno 96 prigionieri di coscienza. E il numero aumenta. In Venezuela, oggi chi scende in strada non lo fa per motivi politici, ma perché non ha più niente da dare da mangiare ai propri figli, o perché gli sta morendo un familiare per mancanza di medicine. Ma la repressione del governo del presidente Nicolàs Maduro si è fatta brutale".


C'è l'amara radiografia del dramma del Paese latinoamericano nelle parole dell'avvocatessa Tamara Suiti Roa, cinquantenne venezuelana espatriata in Europa. Da due anni risiede in Repubblica ceca, dove ha chiesto asilo politico, ma oggi sarà a Roma per raccontare la difficile attività di difesa dei diritti umani in una nazione divenuta sempre più povera, nonostante sia fra i primi produttori mondiali di petrolio, affamata e insicura. "Tutti possono vedere la realtà - spiega. Il governo crede di poter contenere il il malcontento sociale reprimendolo. Chi chiede medicine finisce "preso", chi implora cibo finisce "preso", chi manifesta finisce "preso".
Fino a poco tempo fa, c'erano almeno 1.060 persone con procedimenti penali legati alle manifestazioni del 2014-2015. Ora sono aumentate. E molti altri non possono più manifestare o uscire dal Paese. Per lo Stato sarebbero liberi, ma di fatto sono "presos" anche loro". Il numero di "prigionieri politici" sta crescendo.
All'estero sono noti i casi di Antonio Ledezma, già sindaco metropolitano di Caracas, e di Leopoldo López, economista 45enne leader di Voluntad popular, arrestato nel 2014 e poi condannato, con le sole prove raccolte dall'accusa, a 13 anni e 9 mesi per aver "istigato alla violenza durante le manifestazioni". Ma in pochi sanno, denuncia la giurista, che "i presos politicos sono già almeno 96. Fra loro, 26 presentano patologie, ma non ricevono cure mediche.
La nostra Ong, Foro penai venezolano, denuncia i maltrattamenti carcerari come meccanismo di tortura per punirli ulteriormente, causando in loro danni fisici e psicologici e preoccupazione nei familiari".
Cosa fate per aiutare quei detenuti? Siamo più di 200 avvocati penalisti e lavoriamo per difendere gratuitamente le vittime della repressione. Oggi siamo in stato di allerta, perché ci sono manifestazioni in tutto il Paese, come nei 2014. Solo a maggio, noi avvocati del Foro penai abbiamo contato più di 200 detenzioni. E negli ultimi 15 giorni altre 161, fra cui potrebbero esserci altri 20 detenuti "politici".
Alcuni arrestati sono rinchiusi nella cosiddetta Tumba... Sono sette piccole celle, nel centro di Caracas, a quindici metri sotto terra, nell'ex bunker di una banca. Solo nel 2014 abbiamo appreso dell'esistenza della Tumba, in seguito a due arresti. Ma temiamo che nel Paese ci siano altre prigioni dello stesso genere, che non dovrebbero esistere perché violano le convenzioni internazionali. Lei da due anni, vive all'estero. Perché? Il 27 luglio 2014 ho lasciato il Paese. Noi avvocati del Foro penai fummo accusati di aver messo, con le nostre denunce, in cattiva luce il governo venezuelano: eravamo "traditori".
Mettevano le nostre immagini in tv, venivamo riconosciuti per strada e qualcuno ci insultava. Sembravano ossessionati nei miei confronti: a giugno venni citata dalla polizia politica e interrogata per 4 ore. Al termine mi dissero: "Chissà, nel prossimo interrogatorio potrebbe divenire imputata". A quel punto, sono partita e ora vivo a Praga. È l'unica ad aver scelto l'esilio? No, tre avvocati del Foro penai stanno chiedendo asilo in altri Paesi. Ne12014 un nostro collaboratore, Marcelo Crovato, è stato arrestato arbitrariamente mentre difendeva una famiglia che veniva espropriata dalla polizia: l'hanno tenuto per mesi in un carcere di massima sicurezza. L'anno scorso, il nostro coordinatore, Alfredo Romero è scampato a un'imboscata. Una settimana fa un'altra collega è stata aggredita da incappucciati che hanno attaccato la sua macchina causandole una ferita alla testa. Che cosa vi aspettate dalla comunità internazionale? Abbiamo denunciato queste persecuzioni ad Amnesty International. Vogliamo che la comunità internazionale, l'Unione Europea e l'Italia si rendano conto di ciò che accade in Venezuela e prendano posizione. E che sappiano che il lavoro di difesa dei diritti umani in Venezuela è un rischio. Per svolgerlo, si rischia la vita o l'incolumità fisica tutti i giorni.




di Vincenzo R. Spagnolo

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