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giovedì 2 novembre 2017

I meriti dimenticati del popolo curdo

Corriere della Sera
Paolo Mieli
Nelle ore in cui il mondo intero (e noi con esso) si commuove per le vittime dell’attentato terroristico di Manhattan, ci sembra doveroso — per comprendere se non ci siano falle o anche soltanto opacità nel nostro impegno contro il radicalismo armato degli islamisti — fermarci a riflettere sulla tragedia che sta vivendo il popolo curdo. 


Quei curdi che, dopo aver aiutato per tre interminabili anni l’America e l’Occidente intero a debellare i terroristi di Daesh, sono stati lasciati in preda alle milizie sciite Hashd al-Shaabi guidate dal sanguinario Qasem Soleimani. 

E, con lui, a chiunque nella regione intenda approfittare del loro esser sfiniti dalla lunga guerra contro il Califfato per poterli sbranare una volta per tutte. Un tradimento orribile, il nostro. Quel popolo che, al prezzo di inimmaginabili sacrifici in vite umane, ci ha consentito di far saltare la centrale del terrorismo mondiale (senza che con ciò gli estremisti islamici, a ogni evidenza, possano esser considerati definitivamente debellati) proprio in questi giorni viene dato in pasto ai carnefici venuti dall’Iran e dall’Iraq. Mentre il loro presidente, Massoud Barzani, anche perché tradito da un raggruppamento rivale, è costretto alle dimissioni con parole piene di dignità che tra qualche anno finiranno nei libri di storia. Anche i curdi, negli stessi giorni della Catalogna, avevano promosso un referendum per sancire la propria indipendenza. Il mondo non ha riservato attenzione a questo passaggio della loro vicenda storica.

Pur se, a differenza dei seguaci di Puigdemont , il popolo di Barzani aveva titoli speciali di legittimità morale per procedere in tal senso. Come — per fare un esempio di fantasia (sottolineiamo: di pura fantasia) — li avrebbe avuti il popolo catalano se, nei primi anni 40, fosse rimasto da solo sul terreno a combattere contro le armate naziste. Ai catalani non è capitata l’occasione di far valere questo genere di meriti. Ai curdi sì. 

Ed è una colossale ingiustizia che l’intero mondo occidentale adesso non voglia onorare il debito morale che dovrebbe sentire nei loro confronti. E che, di fronte al dramma di questa gente, giri la testa da un’altra parte. La storia non è nuova a questo genere di orribili voltafaccia. Basta andare con la memoria — prendendone uno a caso — al trattato di Campoformio, che prese il nome del paesino friulano nel quale il 17 ottobre del 1797 Napoleone Bonaparte consegnò all’Austria la città di Venezia, orgogliosamente autonoma da oltre mille anni. Venezia, con la propria neutralità, aveva fino a quel momento favorito l’Armata francese in Italia e le si era addirittura consegnata. Dopodiché il generale francese l’aveva ripagata con Campoformio. Quel cinico gesto di Bonaparte provocò sdegno tra gli intellettuali della penisola nonché, da quel momento in poi, diffidenza estrema nei confronti di Napoleone. E’ sufficiente leggere qualche pagina delle Ultime lettere di Jacopo Ortis per misurare l’intensità di quei sentimenti di riprovazione. Ma adesso per quel che riguarda i curdi non c’è neanche (salvo rarissime eccezioni) qualche Ugo Foscolo che si curi del loro destino.

Quella curda è una storia lunga e travagliata. Per stare solo agli ultimi 150 anni, i curdi furono strumentalizzati dai turchi nella guerra contro i russi tra il 1877 e il 1878. Ma quando, capeggiati da ‘Ubayd Allah, chiesero di ottenere l’autonomia che era stata loro implicitamente promessa, furono brutalmente repressi dai turchi stessi (con il tacito consenso degli inglesi). 

Poi vennero utilizzati dagli ottomani, nel 1915, nell’olocausto armeno, l’unica, indelebile, macchia sul loro passato. E anche stavolta non ottennero nulla. Tra il ’16 e il ’18, furono eccitati contro l’impero della Sublime Porta prima dalla Russia zarista, successivamente, nella fase conclusiva della Prima guerra mondiale, dalla Gran Bretagna che promise anche a loro come ad arabi ed ebrei un “focolare” nazionale.

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